Si è scritto molto nel XX° secolo (ma anche nel XIX°) sulla Bologna "che scompare", come del resto anche sulla Roma, sulla Parigi, sulla Londra, ecc. Il fatto è che ci sono e ci saranno sempre una Bologna (o una Roma, o una Parigi) "che scompariranno" per il semplice motivo che tutto cambia e che niente resta com'era prima! Noi tendiamo a credere che, prima dei nostri tempi, la nostra Bologna sia sempre rimasta uguale a se stessa e che solo ora stia cambiando, per via dell'alfabetizzazione, dell'istruzione, della televisione, della globalizzazione o di qualsiasi altra moderna diavoleria, ma la realtà è diversa. Noi tendiamo a rimpiangere tutto ciò che è passato (specialmente man mano che diventiamo vecchi), come se il passato fosse sempre stato migliore e che "nuovo" fosse sinonimo di "peggio", ma sbagliamo. Per questi motivi, forse, molti di noi, così occupati a rimpiangere ciò che non c'è più, si perdono il piacere di ciò che resta o di ciò che è nuovo, ma non necessariamente peggiore. La città dei nostri figli non è più uguale alla nostra e già la nostra era diversa da quella dei nostri genitori e dei nostri nonni, però tutti indistintamente hanno finito per trovarsi a rimpiangere i "bei tempi andati", la "cara Bologna che non c'è più"!
Montagne di libri sono stati scritti su questo argomento: il dialetto che sta scomparendo, le strade che cambiano, i nuovi quartieri che si mangiano la campagna, gli immigrati (vicini o lontani)che superano il numero dei petroniani "d.o.c.", i locali pubblici, l'architettura, i diversi stili di vita. Insomma, proprio tutto!
Non dovremmo. Dovremmo invece accettare ogni nuova realtà e magari studiare, esaminare e ricordare le diverse realtà passate, ma senza rimpianti anche perché noi stessi non saremmo più adatti a quella Bologna "che non c'è più". Si potrebbe dire che la nostra città (e del resto anche tutte le altre) sia sempre stata diversa in ogni secolo e che perciò, dalla sua fondazione, siano esistite almeno una trentina di…"Bologne" diverse!
Guardando indietro nella storia, per la verità, troviamo situazioni che non sono affatto da rimpiangere: si può avere nostalgia della miseria, della ingiustizia, della prepotenza dei potenti, delle invasioni barbariche, delle decine (almeno trenta) di ondate di peste che hanno decimato i bolognesi dal X° al XV° secolo? Certo che no! E, anche venendo a tempi recenti, si può avere nostalgia del dialetto dei nostri nonni, delle "mistocchinaie", della diffusa scarsa cultura, delle rudimentali apparecchiature, della scarsa qualità della vita, le cui ultime manifestazioni alcuni viventi hanno fatto in tempo a conoscere?
Forse sì, ma più che nostalgia io direi tenerezza, per tutto ciò che, francamente, pochi di noi sarebbero disposti a condividere oggi!
Dunque studiare, approfondire, ricordare, cercare di capire, trovare antiche radici che hanno dato origine a molte cose della Bologna d'oggi, ma non piangersi addosso per una città che è inevitabilmente cambiata.
Si può, si deve essere fieri del suo splendore in età comunale,dell'operosità dei suoi cittadini che resero famosa Bologna, ai primi posti in Europa, per l'industria, il commercio, la meccanica (madre del primato che ancora oggi detiene per la produzione delle macchine automatiche),l'agricoltura, le arti, il prestigio della più antica Università del mondo occidentale, la lungimiranza del suo spirito corporativo (padre del buon funzionamento delle varie cooperative, le quali pare siano le uniche a funzionare oggi in Italia), della fama della sua cucina e di varie attività minori per numero, ma non per qualità. Poche sono le cose delle quali non andare fieri: la breve e non eclatante esistenza di una Signoria che non è riuscita ad attirare artisti e tesori, come fecero ad esempio i Medici, gli Este o i Gonzaga, l'aver troppo a lungo sopportato il giogo della sterile e bigotta dominazione della Chiesa, a due passi da Modena, Ferrara e Firenze e, forse, l'essersi lasciata coinvolgere da passioni politiche che non sempre sono state qualificanti. Ma certo c'è stato molto più di buono che di cattivo. Ciò che si potrebbe rimpiangere del passato è la distruzione che l'uomo ha perpetrato nei confronti delle opere d'arte, ma è un male comune, poiché lo spirito di conservazione delle antichità è nato soltanto di recente e da sempre l'uomo (ben più che le calamità naturali) ha distrutto le cose belle, ha utilizzato materiali di valore per costruire ciò che non sempre ha avuto altrettanto valore. Sono rimpianti inutili, poiché non c'è riparo e si tratta di beni perduti che nessuno potrà mai più recuperare: la distruzione di Palazzo Bentivoglio, per esempio, che le cronache descrivono come una delle più splendide dimore mai viste ed anche la distruzione di torri, porte, palazzi, fortezze ed altro, a causa di guerre, di incuria o vandalismo, opere che, se fossero rimaste, avrebbero dato maggior lustro a quella che, peraltro, resta una delle città-gioiello più preziose d'Italia.
Questi "misfatti" del passato possiamo anche perdonarli, poiché gli antenati erano troppo pressati da urgenti problemi di sopravvivenza ed ancor troppo ignoranti per poter apprezzare le cose belle. Ciò che non possiamo perdonare è il vandalismo di tempi recenti e ciò che non dobbiamo permettere è che ciò si verifichi ancora in futuro! Mi riferisco al secolo appena trascorso: pare impossibile che nel corso dei primi anni del '900, a partire dall'amministrazione Dallolio (1902), si siano abbattute alcune porte e, in gran parte, le splendide mura medievali allo scopo di "rendere la città più moderna"! E, più che impossibile, fu criminale, nel 1917-19 (!), l'abbattimento delle torri millenarie Artenisi, Riccadonna, Guidozagni, Tantidenari e altre, per far posto (le prime tre) a quel bruttissimo palazzo in angolo tra via Rizzoli e Piazza Mercanzia! Queste sì che sono cose da rimpiangere!
In questi ultimi anni, diverse pubblicazioni hanno trattato della "Bologna d'acqua", facendo riscoprire a noi posteri ciò che pochi ricordavano e che molti non sapevano, e cioè che la città ha avuto per secoli una fama simile a quella di Venezia, poiché attraversata da fiumi e canali che portavano ovunque acqua sia per il funzionamento di opifici che per il trasporto delle merci. E ci chiediamo, perché abbiamo voluto cancellare tutto questo? Non sarebbe servita anche oggi quella rete idrica per produrre energia elettrica e per trasportare merci in modo più economico ed ecologico, oltre che a conservare l'aspetto pittoresco ed a favorire il turismo? Già, perché? E la risposta è sempre la stessa: la speculazione. Dove c'erano i canali si sono costruiti palazzi e del resto è sempre stato così: non è vero che i portici, tanto apprezzati oggi, sono nati per sorreggere nuove abitazioni allo scopo di ampliare quelle esistenti e a scapito della strada?
Certo che sarebbe impossibile oggi riportare alla luce canali e porti, ma credo che sarebbe stato meglio lasciarli quando ancora si poteva, invece di abbandonarci completamente al petrolio per la produzione dell'elettricità e ai fin troppi camion per i trasporti! Sono lacrime di coccodrillo, poiché parlo di cose che in nessun modo potranno ritornare, ma mi sia almeno concesso di lamentarmi!
"Cosa fatta, capo ha", ma che dire dei tanti palazzi che avrebbero bisogno di urgenti restauri? Chi provvederà? Le Amministrazioni Pubbliche pare abbiano più attenzione per la politica che per l'arte, poiché in questo mondo moderno il profitto ed il potere hanno, ahimè, la precedenza sulla bellezza. Si criticò Rubbiani per la ristrutturazione di Palazzo Re Enzo, ma chi ha criticato l'insediamento di una profumeria nell'antica cappelletta di Santa Maria di Ponte Maggiore al "Pontevecchio" di Via Mazzini? Chi ha criticato i due discutibili rimaneggiamenti delle Case Tacconi in Piazza S. Stefano (1956-1961), quando già dal 1912 esisteva uno splendido progetto di restauro? Potrei continuare per ore, ma mi mangerei solo il fegato!
Indipendentemente dal colore politico, credo che l'Amministrazione d’ogni città dovrebbe dare priorità alla bellezza.
Non siamo più un Paese di poveracci, ma uno dei primi sette del Mondo e Bologna è una delle più belle città di questo Paese, abbiamo perciò già superato tanti problemi, come quello del pane ed anche del…companatico ed ora dovremmo avere il dovere di pensare alla bellezza, alla pulizia, alla funzionalità della nostra città, sia per migliorare l'ambiente in cui viviamo, sia per incrementare il turismo, sia infine per soddisfare l'accresciuto gusto per l'arte di un popolo che non è più insensibile e ignorante. Molti dei nostri giovani hanno fatto l'Università, hanno studiato musica al Conservatorio, hanno imparato l'arte al Liceo Artistico, perciò non sono più semplici "braccia per l'agricoltura" o "carne da cannone" per la guerra o "massa operaia" per l'industria: sono uomini colti (anche se la strada da fare è ancora tanta!) che hanno il dovere di conservare la bellezza e la necessità di fruirne! Ho, più che l'impressione, la certezza che i nostri Amministratori abbiano idee diverse e molto più arretrate delle nostre, poiché mi pare di notare un degrado che non si addice al nostro livello di vita. Dovremmo imparare a tenere conto di ciò, quando entriamo in cabina elettorale e essi dovrebbero cominciare a capire che per noi non basta vincere le elezioni, ma occorre vedere i risultati del lavoro di una classe politica che ponga in primo piano la qualità della vita, di cui l'amore e la conservazione dei beni culturali è parte integrante ed irrinunciabile. Si vedono certe cose, camminando per Bologna, da non credere. Mi pare di ricordare che Napoleone imponesse ai parigini di restaurare ogni edificio privato, pena multe o espropri, …ma quello era Napoleone! Io mi rendo conto che, in questa società libera, sia difficile andare intorno alla proprietà privata e alla libera iniziativa, ma credo che il "Potere", centrale o locale, dovrebbe imporre leggi adeguate, poiché, lasciando libertà alla cupidigia della gente, torneremmo ad avere i porci che camminano per le strade! Le periferie e le campagne limitrofe sono spesso in pietoso stato di abbandono, ma anche in città ci sono monumenti che hanno urgente necessità di restauro ed anche semplici fabbricati che non dovrebbero avere il diritto di mostrarsi così brutti agli occhi dei passanti e il Comune, in questo caso, dovrebbe fare qualcosa. Faccio un solo esempio: quel fabbricato che si erge, solitario ed orribile, all'angolo tra via Po e via Mazzini è un'offesa a Bologna! Andate a vederlo e dite se esagero! Si può tollerare un obbrobrio del genere?
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Nel bel libro "Vecchio e nuovo nel centro di Bologna" (Ed. Tamari 1967), Renzo Giacomelli descrive, con dovizia di particolari, di cenni storici e di foto i grandi lavori effettuati nel centro della città nei primi anni del '900 e poi anche nell'ultimo dopoguerra, nella parte centrale dell'antica via Emilia e cioè lungo le attuali Vie Rizzoli, Ugo Bassi e Piazza Nettuno. Non ho nulla da aggiungere a quanto già detto, se non alcune mie personali considerazioni. Oggi questa zona ha una sua ben nota fisionomia: strade larghe, bei palazzi ed alcuni importanti recuperi storici ed artistici, ma nel corso di quei lavori sono accaduti fatti che oggi forse avrebbero trovato non pochi ostacoli. La Bologna di un secolo fa in quella zona era un dedalo di stradine e di catapecchie che si erano ammassate nel tempo e che, se pure da un lato le conferivano un'atmosfera caratteristica ed antica, quasi un salotto, non soddisfacevano le esigenze di una grande città, in fatto di traffico, di praticità e di bei negozi.
Fu proprio questa esigenza che indusse l'Amministrazione pubblica a deliberare una serie di lavori, alcuni dei quali opportuni e ben fatti, altri, ahimè, sciagurati.Ottimo fu il recupero del Palazzo Re Enzo e degli spazi intono da parte del Rubbiani, necessarie furono le demolizioni delle baracche addossate al Palazzo Comunale e forse opportuno lo sventramento dell'attuale via Rizzoli, benché soltanto 60 anni dopo si sarebbe cominciata ad evidenziare la necessità di limitare (e forse presto vietare) la circolazione nel centro storico, ciò che avveduti urbanisti avrebbero anche potuto prevedere. Se fosse stato in me, io avrei lasciato il più possibile degli edifici, almeno nella parte esteriore, tranne quelli brutti o pericolanti, ma soprattutto avrei evitato la commistione tra antico e moderno. Non che il moderno non abbia valore, ma credo che debba esistere un centro antico il quale dovrebbe rimanere tale, mentre per il moderno c'è abbondante spazio altrove!
Fu proprio questa esigenza che indusse l'Amministrazione pubblica a deliberare una serie di lavori, alcuni dei quali opportuni e ben fatti, altri, ahimè, sciagurati.Ottimo fu il recupero del Palazzo Re Enzo e degli spazi intono da parte del Rubbiani, necessarie furono le demolizioni delle baracche addossate al Palazzo Comunale e forse opportuno lo sventramento dell'attuale via Rizzoli, benché soltanto 60 anni dopo si sarebbe cominciata ad evidenziare la necessità di limitare (e forse presto vietare) la circolazione nel centro storico, ciò che avveduti urbanisti avrebbero anche potuto prevedere. Se fosse stato in me, io avrei lasciato il più possibile degli edifici, almeno nella parte esteriore, tranne quelli brutti o pericolanti, ma soprattutto avrei evitato la commistione tra antico e moderno. Non che il moderno non abbia valore, ma credo che debba esistere un centro antico il quale dovrebbe rimanere tale, mentre per il moderno c'è abbondante spazio altrove!
Saggio fu lasciare tutto un lato delle vie Rizzoli e Ugo Bassi intatto (a demolire parte di esso avrebbero purtroppo provveduto le bombe della ultima guerra), come anche lo spostamento della facciata del Palazzo della Zecca, mentre, come ho già accennato prima, fu criminale l'abbattimento delle tre torri Artenisi, Riccadonna e Guidozagni e non è solo un mio parere: almeno una decina di Associazioni culturali e Gabriele D'Annunzio si opposero fortemente, ma fu tutto inutile. Oggi avremmo potuto avere, oltre al recupero di tre importanti monumenti, uno spazio necessario al traffico e alla valorizzazione di un gruppo di torri unico al mondo!
Ma temo che la logica della speculazione, a scapito della bellezza, avrà sempre la precedenza: basti pensare all'Hotel Brun, nell'antico Palazzo Ghisilieri, distrutto dai bombardamenti solo 60 anni fa, al cui posto l'Amministrazione permise la costruzione di un discutibile edificio moderno, anziché obbligarne la ricostruzione almeno della facciata, poi dentro avrebbero potuto fare ciò che volevano!
Basti pensare a quel moderno edificio costruito in angolo con le vie Zamboni e San Vitale che non ha nulla a che fare con la bella facciata del Palazzo degli Strazzaroli, con la maestosità delle Due Torri e con la Chiesa di San Bartolomeo tutt’intorno!
È possibile che il mio pensiero, oltre che inutile poiché tutto è ormai stato fatto, sia anche utopistico ed anacronistico a giudizio degli urbanisti e degli architetti, se non altro perché queste commistioni sono sempre avvenute in ogni tempo ed in ogni Paese, ma avrei voluto che l'accresciuto amore per le cose antiche, la maggior sensibilità verso le arti portassero a mantenere stili simili in certe zone, in modo da non sovvertire l'identità di una città e di non mescolare, nello stesso punto, le testimonianze della sua storia. Un esempio di ciò che intendo è costituito dalla nostra bellissima Piazza Maggiore, alla quale stanno intorno 5 grandi edifici che risalgono press'a poco alla stessa epoca o debbo pensare che, se una bomba avesse malauguratamente distrutto il Palazzo dei Notai, al suo posto sarebbe sorto un grattacielo simile alla Torre Velasca di Milano?
Del resto il mio pensiero vale poco, così come in poca considerazione vennero tenuti a suo tempo ben più illustri personaggi bolognesi, per il solo fatto d'essere autodidatti e non accademici: parlo del grande restauratore Rubbiani e di un certo Marconi!
Non mi piacciono le Torri di Kenzo Tange, però in quel contesto che è tutto moderno (e che viene chiamato, chissà perché, Fiera District!), possono anche a stare bene; mentre resta solitario ed orribile il grattacielo vicino all'entrata San Vitale della Tangenziale! Se gli avessero costruito intorno gli altri grattacieli vicini, dove attualmente si trova l'Hotel Boscolo, avrebbero preso due piccioni con una fava:
a) avrebbero un poco mascherato la sua bruttezza e gli avrebbero dato un motivo per esistere in loro compagnia
b) si sarebbe evitato che queste nuove "torri" deturpassero la veduta del panorama per chi guarda dalla Tangenziale verso le colline.
Riuscirà un giorno la bellezza ad avere precedenza su interessi e politica?
In conclusione, nulla da obiettare o da rimpiangere per tutto ciò che inevitabilmente col tempo cambia, per tutto ciò che col tempo sparisce o si modifica, tranne che non si tratti di cose orribili o, peggio, di offese al patrimonio artistico della nostra città.
A riprova che non sono il solo ad essere in disaccordo con gli eccessi di modernità, ecco un aneddoto riportato dall'autore del libro R. Giacomelli:
Al tempo dei lavori per l'allargamento di via Rizzoli, Alfredo Testoni si trovava un giorno a conversare nel negozio di Augusto Galli che, oltre ad essere attore eccellente e impareggiabile interprete delle commedie testoniane, era anche un orafo pregiatissimo.
Il Galli ad un tratto gli chiese:" St'avéss dimóndi milión da invstìr, cuss'in farésset té?" e Testoni pronto:" Mé? Ai spindarévv tótt par turnèr a strichèr la via Rizòli!"
Ed ecco anche una poesiola composta dallo stesso Giacomelli a chiusura del suo libro che non parla espressamente dei lavori nel centro storico, ma che ugualmente lascia trasparire il suo pensiero in proposito:
C'ERA UNA VOLTA
Tànti cós i éra una vólta
che a cuntèrli pèr 'na fóla:
tótta róba ch'i s'àn tólta
fén da quànd andèv'n à scóla.
L'é pò vàira ch'i s'àn dè
i otomóbil, i reoplàn,
el tranvài par tótti el strè
con 'na móccia ed pulismàn.
Radio, Tele e Fot-in-bàl,
i "bichini" e ch'el stanèl
con la "musica legera"!
Róba bèla, sànza fàl,
mó, a pinsèri, as próva un quèl
ch'at fa dir:" L'é méii cumm l'éra!"
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Paolo Canè
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