A volte mi chiedo "perché" uno debba scrivere un libro e la domanda è ancora più strana se fatta da me che, com'è noto, sono un incallito grafomane. Credo che non basti "voler" scrivere, ma che occorra sopra tutto "aver qualcosa di nuovo o interessante da dire"!
Qui non c'è quasi nulla di nuovo e poco d'interessante, tuttavia non posso dire che il libro non mi sia piaciuto in assoluto (almeno l'ho letto fino in fondo!), poiché vi ho trovato qualche idea condivisibile e qualche descrizione spiritosa, ma credo di non poter dire nient'altro di positivo. Di più potrei dire di negativo, ma si tratta beninteso di pareri personali che sono perfettamente opinabili e…contestabili:
- il libro s'intitola (tradotto in italiano) "Io amo Bologna", ma avrebbe dovuto chiamarsi più propriamente "Io odio Bologna", poiché vi sono elencati quasi soltanto i difetti della città e dei suoi cittadini, difetti che peraltro sono comuni alla quasi totalità delle città d'Italia!
- il sottotitolo "la bolognesità spiegata ai bolognesi" lo trovo del tutto fuori luogo, sia perché essa non viene affatto spiegata, sia perché un NON bolognese non può pretendere di venire a spiegare A ME la mia identità!
- L'Autore (probabilmente toscano o nord-emiliano, a giudicare dal cognome, ma si guarda bene dal dirlo!) non può pretendere che abitare a Bologna da 35 anni, significhi automaticamente avere capito lo spirito della città; egli infatti ha due tipici difetti dei moltissimi "trapiantati" che ho avuto modo di conoscere:
a) pur sforzandosi di parlarne bene, pur vivendoci egregiamente, pur non avendo nessuna intenzione di tornare al loro Paese, non riescono a …non parlare male di Bologna!
b) pur abitandovi da anni non riusciranno mai a calarsi appieno nella nostra mentalità: il meridionale resterà sempre suscettibile, il toscano fazioso, il piemontese introverso ed il veneto …spaesato!
- Mi ha colpito lo stile di questo scrittore il quale è sicuramente un dilettante (come me) e un non-intellettuale (come me), tuttavia da un lato usa parole ricercate e immesse quasi per forza in un contesto che ne potrebbe fare a meno, dall'altro lato, forse per dimostrare ciò che egli non è (guarda caso, un difetto che ascrive ai bolognesi!), usa uno stile difficile da leggere e a tratti addirittura soporifero. Uno stile ora barocco, ora bizantino che costringe il lettore a rileggere ed a faticare per capire, ciò che va a scapito della chiarezza e della genuinità.
- Molti argomenti appaiono tirati per i capelli e diverse citazioni di locali pubblici e personaggi attuali, sembrano quasi "spot" pubblicitari (a pagamento!) come quelli ai quali, ahimé, ci ha abituati la TV. Al contrario io penso che satira ed ironia debbano essere sempre a 360 gradi, senza condizionamenti o servilismi.
- Ciò che mi ha sorpreso maggiormente è la punteggiatura, opinabile e sconclusionata, di tutto il libro (non sono rare le virgole seguite da lettera maiuscola e le virgole messe dove non servono affatto) e alcuni incredibili errori, anche di grammatica! Tralasciando i vari congiuntivi mancati e pronomi dimenticati,sono rimasto sorpreso da un "lo suocero" (la prima volta ho pensato a un refuso, ma la seconda volta mi sono convinto che l'Autore è diventato "bolognese" dove non importa!) e da un "grattacelo" la cui mancanza della "i" mi ha fatto pensare d'acchito all'ordine dato a qualcuno di grattarcelo:" Gràttacelo!". Mancano clamorosamente alcune virgolette o corsivi per le citazioni di parole strane, straniere o dialettali e, a proposito di dialetto, pare che il nostro grande Alberto Menarini abbia studiato per niente: non esiste una sola citazione in dialetto che non contenga almeno un errore d'ortografia, almeno dell'ortografia menariniano, poiché continua la grafia imprecisa ed approssimativa dell’800!
- Fra le varie citazioni inesatte, salta agli occhi un "Pelizza" da Volpedo al cui nome manca una "l", almeno secondo ciò che dice l'Enciclopedia, ma ciò che è più grave è il suo "Terzo Stato" che in realtà è "Quarto"!
Credo che l'Autore dovrebbe curare una seconda edizione, sfrondando il superfluo, modernizzando lo stile e poi, prima di pubblicare, far correggere ad un esperto ed affidarsi ad un correttore di bozze serio.
Dovrebbe inoltre verificare alcune sue affermazioni che a me risultano inesatte: "la Gira", squadra di basket che, secondo lui, dovrebbe il suo nome a "gira la bàla", si chiama innanzitutto "il Gira" ed è una società sportiva che nacque negli ani '20 del '900 come società ciclistica intitolata al grande campione Costante Girardengo, il cui nomignolo era appunto "Gira", che poi aggiunse un settore motociclistico ed infine una sezione di pallacanestro: la sola rimasta anche oggi che il vecchio "Gira" è stato… retrocesso a squadra cestistica di Ozzano! Quanto al grido di battaglia "e par la bèla bàla un óc' am bàla" (detto derivato scherzosamente dalle varie "Amba" della Guerra d'Africa!) esso era il "peana" del Gira e non della Virtus! Queste cose le so perché dal 1953 al 1960, quando ancora il signor Angeli risiedeva nella sua città natale, io ero già socio e tifoso del "Gira", quando era una delle migliori squadre del campionato italiano di basket e quando mio padre, per breve tempo, fu uno dei 2 vice-presidenti! Pertanto mi sentirei di ringraziare il signor Angeli per l'omaggio fatto alla mia città (sempre che si tratti di vero amore e non di altro), ma di consigliargli contemporaneamente di lasciare perdere la "bolognesità": egli non la può insegnare, poiché è la sola cosa che gli manca completamente!
Ai bolognesi può insegnare un po' della loro storia, questo sì, ma nient'altro!
Non bastano 35 anni di residenza e sono più propenso a credere che occorrano (è una sua citazione) almeno tre generazioni.
Conosco un uomo nato a Bologna 60 anni fa da genitori napoletani, che parla un ottimo dialetto, che si definisce "borghigiano di Borgo San Pietro", quando ormai da oltre un secolo il concetto di "borgo" a Bologna è ormai svanito, che ha in poca simpatia i "marocchini", ma che sotto sotto conserva un "imprinting" che resta inequivocabilmente partenopeo. Amare la propria città è bello e giusto, amare la città scelta per viverci è comprensibile, ma non bisogna spacciarsi per ciò che non si è: essere bolognesi (o romani, o milanesi, o napoletani) non significa solo essere nati o vivere da anni in una città, ma significa avere nel sangue lo spirito di quella città e questa è una cosa per cui non basta una vita, una cosa che si tramanda di padre in figlio per generazioni, insomma: una delle poche cose veramente difficili da contraffare! Non basta prendere uno "shaker", mettere un pizzico di storia antica, di personaggi antichi e attuali e di parole in dialetto, agitare e… scodellare un libro su Bologna. Figuriamoci sulla "bolognesità"! Ma adesso basta con le critiche: chiedo scusa all’Autore per la mia franchezza e torno ad occuparmi dei difetti MIEI!
Qui non c'è quasi nulla di nuovo e poco d'interessante, tuttavia non posso dire che il libro non mi sia piaciuto in assoluto (almeno l'ho letto fino in fondo!), poiché vi ho trovato qualche idea condivisibile e qualche descrizione spiritosa, ma credo di non poter dire nient'altro di positivo. Di più potrei dire di negativo, ma si tratta beninteso di pareri personali che sono perfettamente opinabili e…contestabili:
- il libro s'intitola (tradotto in italiano) "Io amo Bologna", ma avrebbe dovuto chiamarsi più propriamente "Io odio Bologna", poiché vi sono elencati quasi soltanto i difetti della città e dei suoi cittadini, difetti che peraltro sono comuni alla quasi totalità delle città d'Italia!
- il sottotitolo "la bolognesità spiegata ai bolognesi" lo trovo del tutto fuori luogo, sia perché essa non viene affatto spiegata, sia perché un NON bolognese non può pretendere di venire a spiegare A ME la mia identità!
- L'Autore (probabilmente toscano o nord-emiliano, a giudicare dal cognome, ma si guarda bene dal dirlo!) non può pretendere che abitare a Bologna da 35 anni, significhi automaticamente avere capito lo spirito della città; egli infatti ha due tipici difetti dei moltissimi "trapiantati" che ho avuto modo di conoscere:
a) pur sforzandosi di parlarne bene, pur vivendoci egregiamente, pur non avendo nessuna intenzione di tornare al loro Paese, non riescono a …non parlare male di Bologna!
b) pur abitandovi da anni non riusciranno mai a calarsi appieno nella nostra mentalità: il meridionale resterà sempre suscettibile, il toscano fazioso, il piemontese introverso ed il veneto …spaesato!
- Mi ha colpito lo stile di questo scrittore il quale è sicuramente un dilettante (come me) e un non-intellettuale (come me), tuttavia da un lato usa parole ricercate e immesse quasi per forza in un contesto che ne potrebbe fare a meno, dall'altro lato, forse per dimostrare ciò che egli non è (guarda caso, un difetto che ascrive ai bolognesi!), usa uno stile difficile da leggere e a tratti addirittura soporifero. Uno stile ora barocco, ora bizantino che costringe il lettore a rileggere ed a faticare per capire, ciò che va a scapito della chiarezza e della genuinità.
- Molti argomenti appaiono tirati per i capelli e diverse citazioni di locali pubblici e personaggi attuali, sembrano quasi "spot" pubblicitari (a pagamento!) come quelli ai quali, ahimé, ci ha abituati la TV. Al contrario io penso che satira ed ironia debbano essere sempre a 360 gradi, senza condizionamenti o servilismi.
- Ciò che mi ha sorpreso maggiormente è la punteggiatura, opinabile e sconclusionata, di tutto il libro (non sono rare le virgole seguite da lettera maiuscola e le virgole messe dove non servono affatto) e alcuni incredibili errori, anche di grammatica! Tralasciando i vari congiuntivi mancati e pronomi dimenticati,sono rimasto sorpreso da un "lo suocero" (la prima volta ho pensato a un refuso, ma la seconda volta mi sono convinto che l'Autore è diventato "bolognese" dove non importa!) e da un "grattacelo" la cui mancanza della "i" mi ha fatto pensare d'acchito all'ordine dato a qualcuno di grattarcelo:" Gràttacelo!". Mancano clamorosamente alcune virgolette o corsivi per le citazioni di parole strane, straniere o dialettali e, a proposito di dialetto, pare che il nostro grande Alberto Menarini abbia studiato per niente: non esiste una sola citazione in dialetto che non contenga almeno un errore d'ortografia, almeno dell'ortografia menariniano, poiché continua la grafia imprecisa ed approssimativa dell’800!
- Fra le varie citazioni inesatte, salta agli occhi un "Pelizza" da Volpedo al cui nome manca una "l", almeno secondo ciò che dice l'Enciclopedia, ma ciò che è più grave è il suo "Terzo Stato" che in realtà è "Quarto"!
Credo che l'Autore dovrebbe curare una seconda edizione, sfrondando il superfluo, modernizzando lo stile e poi, prima di pubblicare, far correggere ad un esperto ed affidarsi ad un correttore di bozze serio.
Dovrebbe inoltre verificare alcune sue affermazioni che a me risultano inesatte: "la Gira", squadra di basket che, secondo lui, dovrebbe il suo nome a "gira la bàla", si chiama innanzitutto "il Gira" ed è una società sportiva che nacque negli ani '20 del '900 come società ciclistica intitolata al grande campione Costante Girardengo, il cui nomignolo era appunto "Gira", che poi aggiunse un settore motociclistico ed infine una sezione di pallacanestro: la sola rimasta anche oggi che il vecchio "Gira" è stato… retrocesso a squadra cestistica di Ozzano! Quanto al grido di battaglia "e par la bèla bàla un óc' am bàla" (detto derivato scherzosamente dalle varie "Amba" della Guerra d'Africa!) esso era il "peana" del Gira e non della Virtus! Queste cose le so perché dal 1953 al 1960, quando ancora il signor Angeli risiedeva nella sua città natale, io ero già socio e tifoso del "Gira", quando era una delle migliori squadre del campionato italiano di basket e quando mio padre, per breve tempo, fu uno dei 2 vice-presidenti! Pertanto mi sentirei di ringraziare il signor Angeli per l'omaggio fatto alla mia città (sempre che si tratti di vero amore e non di altro), ma di consigliargli contemporaneamente di lasciare perdere la "bolognesità": egli non la può insegnare, poiché è la sola cosa che gli manca completamente!
Ai bolognesi può insegnare un po' della loro storia, questo sì, ma nient'altro!
Non bastano 35 anni di residenza e sono più propenso a credere che occorrano (è una sua citazione) almeno tre generazioni.
Conosco un uomo nato a Bologna 60 anni fa da genitori napoletani, che parla un ottimo dialetto, che si definisce "borghigiano di Borgo San Pietro", quando ormai da oltre un secolo il concetto di "borgo" a Bologna è ormai svanito, che ha in poca simpatia i "marocchini", ma che sotto sotto conserva un "imprinting" che resta inequivocabilmente partenopeo. Amare la propria città è bello e giusto, amare la città scelta per viverci è comprensibile, ma non bisogna spacciarsi per ciò che non si è: essere bolognesi (o romani, o milanesi, o napoletani) non significa solo essere nati o vivere da anni in una città, ma significa avere nel sangue lo spirito di quella città e questa è una cosa per cui non basta una vita, una cosa che si tramanda di padre in figlio per generazioni, insomma: una delle poche cose veramente difficili da contraffare! Non basta prendere uno "shaker", mettere un pizzico di storia antica, di personaggi antichi e attuali e di parole in dialetto, agitare e… scodellare un libro su Bologna. Figuriamoci sulla "bolognesità"! Ma adesso basta con le critiche: chiedo scusa all’Autore per la mia franchezza e torno ad occuparmi dei difetti MIEI!
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Paolo Canè
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