I Francesi non hanno nulla che sia meglio di ciò che abbiamo noi e non hanno nulla più di noi, se non la loro smisurata presunzione di essere superiori, atteggiamento che hanno nei confronti di tutti, ma ancora di più nei nostri, forse perché hanno raggiunto l’unità molti anni prima di noi, forse perché, a volte con i Papi e a volte contro, in passato sono spesso scesi in Italia per conquistare, ammazzare e rubare, facendo del nostro Paese il loro campo di battaglia. E noi li abbiamo subiti (c’è ancor oggi qualcuno che li ammira!) perché sovente abbiamo dovuto far buon viso nei confronti di questi antipatici “cugini”. Anche la nostra lingua ha dovuto incamerare diverse parole francesi (dopo che i nostri Romani avevano insegnato loro a parlare!), ancora ben vive fino a tutta la prima metà del Novecento, ma che ora fortunatamente stiamo a poco a poco eliminando. E’ il caso del rendez-vous (appuntamento), dell’abat-jour (lampada da tavolo), del tire-bouchon (cavatappi), della consolle (mensola) della chaise-pliante (sedia a sdraio) e di mille altre parole. Ci stiamo liberando dei francesismi…per far posto agli americanismi: come dire dalla padella nella brace!
In certi ambienti faceva “fine” parlare francese (vedi certe Corti europee), scrivere in francese (vedi Goldoni e Alfieri) ed usare termini francesi. Oggi è diverso, poiché, nonostante ciò che credono loro, la Francia fa parte del G/8, ma non è certo più importante di noi! Anche il dialetto bolognese contiene dei francesismi, alcuni evidenti, altri mascherati. Vediamo alcuni esempi:
Tirabursàn: è il citato tire-bouchon che, tra l’altro, è entrato in quasi tutti i dialetti d’Italia, come se prima dei francesi, noi le bottiglie le avessimo aperte coi denti!
In ogni caso, in dialetto non abbiamo nessun altro termine per definire il cavatappi.
Basùr: è il pure citato abat-jour (maschile in italiano!), da noi storpiata in “la basùr” e anche questo è l’unico termine per chiamare la lampada da tavolo o da comodino.
Balsamèla: è la béchamel, la salsa che anche la lingua italiana non ha saputo tradurre meglio di “besciamella” e che i nostri dialetti hanno forse incrociata col “balsamo”!
Paltò: voce usata anche in italiano che deriva dal francese di origine inglese “paletot” e che è il solo termine bolognese per indicare il cappotto. Parola questa che non esiste nemmeno del caso del cappotto (nel senso di “vittoria a zero”) che si dice “arbóffa”!
Bunàtt: il francese “bonnet” indicava una specie di copricapo in uso anche in Italia nel Settecento col nome di “bonetto”. A Bologna “al bunàtt” (termine che però è in fase di obsolescenza) era ed è ancora la coppola.
Sanfasàn: qui entriamo nel difficile! Quando qualcuno fa qualcosa in modo disordinato, approssimativo o pasticciato, si dice “fèr el cós a la sanfasàn” e tale strana parola è la traduzione ad orecchio di “sans façon”, cioè senza garbo. Espressione entrata peraltro anche nel siciliano “sanfasò”.
Tarquàider: altro francesismo mascherato. “Métter un quèl ed tarquàider” significa metterlo di traverso e viene da “trois quart”, cioè di “tre quarti”.
E, per finire, tre parole che, secondo mie ricerche, “potrebbero” essere francesismi:
Macadùr: gergale (vedi Menarini) per “fazzoletto da naso, forse da “mouchoir”.
Plùs: termine ormai scomparso per “camice da lavoro”, forse da “blouse”.
In certi ambienti faceva “fine” parlare francese (vedi certe Corti europee), scrivere in francese (vedi Goldoni e Alfieri) ed usare termini francesi. Oggi è diverso, poiché, nonostante ciò che credono loro, la Francia fa parte del G/8, ma non è certo più importante di noi! Anche il dialetto bolognese contiene dei francesismi, alcuni evidenti, altri mascherati. Vediamo alcuni esempi:
Tirabursàn: è il citato tire-bouchon che, tra l’altro, è entrato in quasi tutti i dialetti d’Italia, come se prima dei francesi, noi le bottiglie le avessimo aperte coi denti!
In ogni caso, in dialetto non abbiamo nessun altro termine per definire il cavatappi.
Basùr: è il pure citato abat-jour (maschile in italiano!), da noi storpiata in “la basùr” e anche questo è l’unico termine per chiamare la lampada da tavolo o da comodino.
Balsamèla: è la béchamel, la salsa che anche la lingua italiana non ha saputo tradurre meglio di “besciamella” e che i nostri dialetti hanno forse incrociata col “balsamo”!
Paltò: voce usata anche in italiano che deriva dal francese di origine inglese “paletot” e che è il solo termine bolognese per indicare il cappotto. Parola questa che non esiste nemmeno del caso del cappotto (nel senso di “vittoria a zero”) che si dice “arbóffa”!
Bunàtt: il francese “bonnet” indicava una specie di copricapo in uso anche in Italia nel Settecento col nome di “bonetto”. A Bologna “al bunàtt” (termine che però è in fase di obsolescenza) era ed è ancora la coppola.
Sanfasàn: qui entriamo nel difficile! Quando qualcuno fa qualcosa in modo disordinato, approssimativo o pasticciato, si dice “fèr el cós a la sanfasàn” e tale strana parola è la traduzione ad orecchio di “sans façon”, cioè senza garbo. Espressione entrata peraltro anche nel siciliano “sanfasò”.
Tarquàider: altro francesismo mascherato. “Métter un quèl ed tarquàider” significa metterlo di traverso e viene da “trois quart”, cioè di “tre quarti”.
E, per finire, tre parole che, secondo mie ricerche, “potrebbero” essere francesismi:
Macadùr: gergale (vedi Menarini) per “fazzoletto da naso, forse da “mouchoir”.
Plùs: termine ormai scomparso per “camice da lavoro”, forse da “blouse”.
Mustàz: arcaico per “faccia”, forse da “moustache” che però in francese è il baffo!
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Paolo Canè
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