giovedì 11 ottobre 2007

LA SCUSA (n. 91)

Tótt i dé Pirén l'à una scùsa nóva pr'arivèr in ritèrd a scóla.

"Alàura Pirén che scùsa èt incù?"
"Sgnàura màstra, ai ò purtè la vàca al tòr".
"Bàn? An al p'sèva brìsa fèr tó pèder?"
"Sè, mó l'é dimóndi méii al tòr!"

I PIRENEI (n. 90)

"Bàbbo, dùvv'éni i Pirenei?"
"Sòia bàn mé: d'màndel a tó mèder ch'l'é lì ch'l'ardàppia sàmpr'incósa!"

Proverbio n. 137

Fèr l'amàur con la surèla d'la màn stànca.
Masturbarsi.

Proverbio n. 136

Fèr di sdùz.
Abortire.

IL DIALETTO BOLOGNESE

Per quante volte ho già parlato (e ancora parlerò!) di quest'argomento, per altrettante volte dovrei tacere e dovrei cancellare tutto quanto ho scritto! È il ricorrente, sconsolante pensiero che mi attanaglia, ogni volta che finisco di leggere o di rileggere uno dei testi (sebbene pochissimi) in mio possesso i quali appunto di quest'argomento trattano. Ciò che non finirà mai di stupirmi è il numero degli studiosi che hanno affrontato la materia (da Dante in poi fino al Devoto ed oltre) e che hanno pubblicato centinaia di testi, nei quali sembra che ormai tutto sia già stato trattato, sezionato, studiato e classificato, oltre al congruo numero di studiosi stranieri (soprattutto tedeschi) che sono stati maestri nello studio del…mio dialetto! E così, sempre, dopo aver letto ciò che altri, ben più autorevoli, hanno scritto, mi assalgono sensazioni d'impotenza e consapevolezza della mia ignoranza, tali che… quasi mi metterei a piangere! Eppure…eppure io leggo, rileggo, studio, mi angoscio, penso, deduco, "scopro"… e alla fine mi trovo sempre ed ostinatamente a scrivere! Perché? Per tre motivi principali:

a) perché mi piace, mi diverto e così trascorro quest'inutile tempo da pensionato, con la piacevole sensazione di occuparmi di qualcosa per cui valga la pena scrivere.
b) perché, tra i seppur pochi libri della mia biblioteca, ne ho alcuni scritti da persone come me (e a volte anche peggio di me, poiché hanno pubblicato lavori che sono stati copiati pari pari da quelli scritti dai "veri" studiosi) e penso che, se scrivono loro, posso scrivere anch'io!
c) perché ho la presunzione di scrivere in modo semplice e chiaro, tanto da fare capire alle persone semplici come me, in poche parole, ciò che questi studiosi scrivono in modo assai più preciso e dettagliato, usando termini dotti (con diverse citazioni in latino e greco) che conferiscono ai loro studi una veste ufficiale e professionale ed una profondità che si evidenzia anche a prima vista, ma che il lettore estemporaneo e non competente non solo non capisce, ma trova pedante e noiosa.

Più ci si addentra in una materia e più, non solo ci si sente ignoranti, ma sorgono dubbi anche su ciò che poco prima sembrava chiaro e semplice. Una modesta cultura non ha questi problemi: prendo ad esempio una persona che amo ed alla quale devo in gran parte la pratica dell'uso dialettale: mio padre. Egli è intimamente convinto di sapere tutto in fatto di dialetto, di parlare l'unico dialetto possibile e di conoscere ogni parola ed ogni espressione dialettale esistente! A volte mi trovo a discutere con lui su parole che hanno un ben preciso significato, citato da dizionari e da studiosi eminenti, e lui, convinto che tutti costoro si siano ingannati, continua a sostenere la sua tesi.
Alla fine lascio sempre perdere!
E le persone come lui sono tante, ma che dico, sono la maggioranza!

Non si può parlare d'un qualunque argomento senza prima avere assimilato ciò che altri hanno studiato, senza conoscere le molte altre materie che tale argomento hanno influenzato, condizionato e determinato. Così è anche e soprattutto per quanto riguarda il dialetto. Parlarlo, capirlo anche bene non è sufficiente: chi lo parla da sempre, poiché l'ha imparato ad orecchio, è praticamente un analfabeta! E' come parlare una lingua senza saperla scrivere, senza sapere nulla di storia, di geografia, di qualsiasi altra materia inerente: è come parlare al buio! Molti credono alle favole: credono che gli antichi parlassero latino, poi un bel giorno, chissà come e perché, si siano messi tutti a parlare italiano e che il dialetto sia, in qualche modo, una corruzione della lingua, senza minimamente pensare che tutto si è trasformato lentamente, che il dialetto è il risultato di tale trasformazione e che la lingua è invece una convenzione creata artificialmente e molto più tardi; senza pensare che tale processo è comune a tutti i luoghi d'Italia, d'Europa e del mondo; senza pensare che non esistono parole "misteriose" o "esclusive" di un dialetto, ma che ognuna di queste ha una ragione di essere e che molte sono imparentate tra di loro, anche se a prima vista non lo sembrano affatto; senza pensare che non esistono materie avulse da quella realtà che, invece, le trova tutte collegate tra di loro.

Lo studio del dialetto, come dell'onomastica, dell'etimologia e di qualsiasi altra materia che studi le cose di un passato che ci ha lasciato solo pochi e controversi documenti, è un campo estremamente difficile, nel quale occorre andare cauti, poiché, come tante volte ho detto, niente o molto poco è ciò che sembra a prima vista. E sono caduti in errore anche molti esimi studiosi (questo non lo dico io, ma certi loro colleghi che li hanno presi in castagna!), anche perché gli studi vanno sempre avanti e ogni nuovo apporto si aggiunge a quanto già enunciato, oltre al fatto che spesso lo corregge, quando addirittura non lo sovverte. Per questi motivi (e per altri) occorre sempre fare molta attenzione a ciò che si dice ed affrontare gli argomenti con umiltà e con serietà: io primo fra tutti! Fatto questo lungo preambolo (e non è certo la prima volta, ancorché ci sarebbe tanto altro da dire!), vediamo di fare ulteriore chiarezza: la lingua italiana è uguale da Merano a Pantelleria, si scrive nello stesso modo, ha le stesse regole e si pronuncia allo stesso modo, a parte gli accenti dovuti ai diversi retaggi dialettali locali. È, come ho detto, una convenzione nata alla fine del Medio Evo per motivi di necessità pratica, che si è sviluppata nei secoli con gli apporti di poeti e scrittori d'ogni parte d'Italia, che ha ormai le sue regole fissate e che tuttavia continua a svilupparsi lentamente. I dialetti restano unicamente parlati ed ogni tentativo di scriverli è arbitrario e comunque non ufficiale, anche se c'è stato qualcuno che ha messo a punto un metodo preciso e quasi perfetto, come Alberto Menarini fece per il bolognese. Anche in questo caso però si tratta di parere soggettivo che non è condiviso da tutti, sopra tutto per due motivi:

a) perché nessuno ha mai stabilito che il metodo Menarini sia quello giusto.
b) perché, essendo il dialetto solo parlato, paradossalmente non esiste più un dialetto bolognese! O meglio, esiste ed è quello che si parla a Bologna in centro ed in periferia, ma è zeppo di varianti, di ambiguità, di eccezioni interpretative ad una regola…che non c'è, in modo che ogni parlante è convinto che la propria pronuncia sia quella giusta!

Esistono invece i "gruppi dialettali" come li enuncia il Devoto e come, da Dante in poi, altri avevano già individuati. Nel nostro caso si parla di dialetti "emiliano-romagnoli" addirittura e noi tutti sappiamo bene che differenza passi tra il dialetto bolognese ed il romagnolo ed anche tra il bolognese ed il modenese, il ferrarese, il piacentino e così via! Questo gruppo fa parte degli idiomi "gallo-italici", distinzione ancora più larga che ci differenzia dalle regioni del Centro e del Sud, ma che comprende anche i dialetti piemontesi, lombardi e liguri. Dunque possiamo parlare solo in generale, partendo dal grande raggruppamento dei "gallo-italici" (così detti per l'influenza che ebbe la lunga dominazione gallica che andò circa dal V° al III° secolo a.C., influenza che dura tuttora), per limitarci poi al gruppo "emiliano-romagnolo" che è già ben definito e costituisce una base valida di studio. Difficile è restringere ancora il campo, poiché, se è vero che ogni città ha il suo dialetto, è anche vero che ogni paese ha il proprio e ci si perderebbe in un dedalo infinito d’idiomi, i quali, negli spazi ristretti, si mescolano e s'influenzano fino a diventare difficilmente distinguibili. E diciamo anche che ad aumentare questa "babele" contribuisce la diffusa immigrazione e la scarsa confidenza con parlate che stanno scomparendo.Un tempo lo stesso dialetto parlato entro le mura di Bologna conosceva diverse varianti a seconda dei quartieri (i borghi), tuttavia era abbastanza omogeneo, anche perché quasi tutti i parlanti erano nati in città e lo usavano al posto di un italiano che conoscevano poco o nulla.
Appena però ci s'inoltrava in campagna, in ogni direzione, si cominciavano ad evidenziare differenze a partire da centri distanti anche solo 7 Km. (ad esempio Castenaso), le quali aumentavano man mano che ci si allontanava dalla città. Oggi non è più la stessa cosa ed ogni dialetto ha perso le proprie caratteristiche per effetto dei tanti bolognesi che si sono trasferiti nei paesi circostanti e per i tanti "forestieri" che si sono stabiliti a Bologna.

Pertanto, a chi cerca di parlare e di scrivere il bolognese d'oggi, consiglio di dimenticare parole ed espressioni ormai obsolete che appartengono al passato, di evitare la grafia inesatta che pure è stata largamente usata da scrittori e poeti del passato (magari adottando quella "menariniana" che è molto più svelta e precisa), ma sopra tutto invito a parlare coloro che il dialetto lo hanno sempre parlato (non coloro che lo hanno "scoperto" di recente!) ed a scrivere coloro che hanno studiato i tanti testi in circolazione in modo da sapere ciò che scrivono! Ne uscirà un bolognese che non è più quello di un tempo, ma che è più o meno quello che si parla oggi.
È chiaro che se qualcuno avesse pensato a stabilire le regole fonetiche e grafiche del nostro dialetto, oggi accadrebbe ciò che è accaduto con la lingua e cioè che il "bolognese" sarebbe univoco ed immutabile per tutta la provincia di Bologna e tutti lo parlerebbero, salvo le diverse inflessioni locali! Ma chi ce lo fa fare? Chi vorrebbe costringere, ad esempio, gli argelatesi a dimenticare il loro dialetto ed a parlare il bolognese? Forse è bene che le cose restino come stanno: ogni paese parla il proprio dialetto, anche se le differenze rispetto al paese vicino sono minime, e parimenti in ogni paese si cercherà di scriverlo al meglio. L'importante è non fare delle confusioni tra tempi e luoghi diversi, l'importante è di non volere spacciare dei falsi e per intenderci tutti, anche con i più lontani forestieri, c'è sempre l'italiano, che proprio a questo scopo è nato! E poi a che servirebbe fissare regole fonetiche e grafiche proprio oggi che il dialetto sta sparendo? Sarebbe una pratica inutile, quasi inutile come quella di andare, a 70 anni, all'Università per Anziani: all'Università ci si sarebbe dovuto andare da giovani, quando gli studi avrebbero influenzato il resto della vita e magari anche la professione. A 70 anni si può ancora studiare per il proprio piacere, ma i titoli accademici lasciamoli perdere!
Dunque il dialetto non è corruzione dell'italiano, semmai lo è del latino! Il latino infatti è stata per secoli la lingua ufficiale, la lingua dotta e, in quanto tale, parlata e scritta da pochi, mentre il popolo la sapeva solo parlare e male. Le invasioni barbariche hanno fatto il resto ed è successo quello che sappiamo. Se oggi non ci fosse l'alto grado di scolarizzazione, se la gente fosse ancora ignorante e analfabeta, potremmo assistere alla … corruzione dell'italiano e torneremmo così ai dialetti! Ma non c'è pericolo.

Torniamo al gruppo "emiliano-romagnolo": che cosa unisce questi dialetti e li divide da quelli degli altri gruppi? E' un discorso lungo e difficile. Il grande linguista Giacomo Devoto (vedi "I dialetti delle regioni d'Italia" di Devoto e Giacomelli- Ed. Bompiani 1971) ne dà una spiegazione precisa, esauriente e…complicata, come è uso di tutti i linguisti.
Egli prende in considerazione ogni regione della Penisola e individua per ogni dialetto le caratteristiche che lo differenziano dagli altri, fissandone l'appartenenza al suo particolare gruppo. Ma tra le sue tante osservazioni interessanti, una in particolare è notevole e cioè che non sempre i gruppi corrispondono alle attuali Regioni politiche. Nel caso dei nostri dialetti l'area è molto più vasta della Regione: infatti comprende Pavia, Voghera e Mantova in Lombardia, esclude Piacenza, per arrivare fino a Carrara in Toscana e, sconfinando nelle Marche, raggiunge il fiume Esino a 12 Km. da Ancona! Ed è più o meno l'area che 2.500 anni fa fu occupata dai Galli Boi e da altre tribù, compresi i Galli Senoni (Senigallia). Questo spiega il perché da sempre il dialetto Mantovano è molto più simile al nostro del piacentino e quello di Pesaro e del Montefeltro è molto simile al romagnolo.

Osservazioni affascinanti del Devoto, col quale (mi si perdoni l'eresia!) non sono del tutto d'accordo su una: egli afferma che il termine "topo" (in bolognese "pàndg") è "un fatto isolato nell'ambito dei dialetti italiani" e che "probabilmente è d'origine bizantina". A me pare invece che derivi dal greco "póntikos" che a sua volta ha originato l'italiano "pantegana" (topo di fogna) e il termine dialettale "pantecana" che ha lo stesso significato nei dialetti meridionali, come il calabrese, nelle zone della Magna Grecia, e pertanto è un caso tutt'altro che isolato, ma… sicuramente ha ragione lui! Del resto è più probabile che i bolognesi abbiano preso questo termine dai bizantini, vista la vicinanza di Ravenna, dato che i bizantini parlavano greco! Lo ripeto: attenzione, cautela e rispetto, poiché quasi nulla, in fatto d’etimologia, è quello che sembra! Sono questi piccoli, ma significativi esempi, a dimostrare che il solo fatto di parlare un dialetto non significa conoscerlo. Ci sono dei motivi storici in seguito ai quali ci si spiegano "strane" parentele (l'influenza dei Galli) e ci sono motivi geografici i quali spiegano perché due Regioni come Toscana ed Emilia-Romagna parlino dialetti così diversi (l'asperità dell'Appennino) ed ancora altri motivi contingenti che rendono simili le parlate di zone lontane tra di loro, ma unite da millenni dalla Via Emilia che ha facilitato contatti, spostamenti ed invasioni. Storia e geografia ci spiegano perché i paesi del Centro-Sud si siano ritirati dalla costa (invasioni saracene), perché certi paesi montani mantengano particolari caratteristiche (isolamento e mancanza di strade), perché alcune città siano più ricche di monumenti d'altre (le Signorie, più o meno potenti). Insomma, per affrontare seriamente uno studio su qualsiasi cosa riguardi il passato, occorre sapere un po' di tutto e considerare un po' di tutto. Nulla nasce per caso e nulla è mai completamente isolato, anche perché, oltre alle tante cose che sono state scoperte e che sappiamo, ce ne sono altre non ancora scoperte (e che forse non scopriremo mai) le quali potrebbero darci ulteriori e preziose spiegazioni, rivoluzionando magari vecchie e solide teorie. Ci si potrebbe chiedere perché, nell'ambito dei dialetti gallo-italici, ci siano così sensibili differenze e i motivi potrebbero essere tanti. Innanzitutto è probabile che diverse tribù galliche parlassero diversi idiomi e poi ciò potrebbe dipendere sia da una differenziata penetrazione o periodo di permanenza dell'invasore su un dato territorio, sia da una diversa influenza su quel territorio del latino o di altre parlate preesistenti o successive.

I motivi possono essere tanti, certo che, in ambiti sociali ristretti, come tribù o piccoli villaggi, è probabile che la parlata di uno solo o di pochi individui abbia potuto influenzare l'ambiente: vi siete mai chiesti come mai la stragrande maggioranza degli abitanti delle province di Piacenza e Parma abbiano la "erre" moscia? Che il primo abitante di quelle zone avesse un difetto di pronuncia e che gli altri lo abbiano imitato è un'idea buffa, ma non da escludere!
La lingua italiana, come un fiume, nasce da una sorgente identificata nell’opera di Dante, che poi, con l'apporto di molti affluenti, s'ingrossa fino alla foce.
I dialetti, al contrario, sono innumerevoli pozzanghere che nascono spontanee ovunque, che possono essere talvolta comunicanti, ma che non vanno da nessuna parte, perché sono immobili, perché usati solo in loco e perché, non sapendo… scrivere, non hanno possibilità di ulteriori sviluppi!

Paolo Canè