lunedì 10 marzo 2008

Proverbio n. 253

A Budrì ai é del bèli campèn (i ómen i én bécch e el dón putèn)!
Dicesi di coppie di sposi che si rispettano molto limitatamente.

Proverbio n. 252

Avàir i sbérr de drì dal cùl.
Dicesi a chi ha sempre una fretta maledetta!

Proverbio n. 251

L'é bàn tótt quàll ch'a se spénz só e tótt quàll ch'a se spénz zà!
Antica saggezza delle nostre nonne.

Proverbio n. 250

- L'à un cùl che, se al le prélla all'insó, ai pól andèr i pasarén a fèr al nìd.
- L'à un cùl che par girèrel tótt ai vól al tranvài.
Due espressioni analoghe per chi ha molta fortuna!

Proverbio n. 249

L'ària la fa pió schìv che una caghè int i linzù.
Dicesi di aria irrespirabile per lo smog.

NOVITA' EDITORIALE: BRISA PAR CRITICHER


AVVISO tutti gli amici interessati al dialetto bolognese e alla nostra cara, vecchia Bologna, che dato il successo ottenuto dalla prima edizione e dalla ristampa del libro: "V'gnì mó qué Bulgnìs" Tiziano Costa ed io abbiamo dato alle stampe un altro libro, anch’esso interamente scritto in dialetto, il cui titolo è:


"Brìsa par critichèr (…mó par stèr alìgher!")


Anche questo libro si compone di una prima parte, a cura di Tiziano Costa, nella quale il noto storico ci racconta in chiave semiseria alcuni fatti della Bologna d’oggi in relazione con analoghi fatti di ieri. La seconda è costituita da 265 nuove storielle da me raccolte e sempre dedicate a mio padre Giovanni.

Il libro costa 12 euro e si troverà, a partire dal 12-15 marzo in poi, soltanto nelle librerie.

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A tutti coloro che lo leggeranno auguro buon divertimento e chiedo loro di farmi avere qualunque tipo di critica o di commento, ciò che mi sarà utile per sapere se dovrò procedere nellepubblicazioni… o se dovrò smettere!

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Un saluto da Paolo Canè

L’AMÌGH MÀRIO (n. 102)

Dù amìgh i én al cinema e i vàdden davànti a làur ón con una bèla tèsta plè:

- "Vùt scumétter dismélla frànch che mé a lulé ai càz una bóta in tèsta?"
- "Scumitàn!"

Ai càza una gràn giacóba int la plè e gli dìs: "Adìo Mario, it qué anca té?"

Quàll als vólta incazè e al dìs:
- "Bàn cus’él, màt?"
- "Ch'al scùsa bàn sèl, mó da de drì al parèva tótt Mario!"
- "Mocché Mario d'Egétt!" e al ciapa só a la và da ch'l'ètra pèrt dal cìnema.

I dù amìgh i vàn drì, is métt'n à séder de drì da ló e ón al dìs:

- "Vùt scumétter èter dìs mélla frànch ch'ai càz un'ètra bóta?"
- "Scumitàn pùr: a vóii própi vàdder!".

Ai càza un'ètra gran pàca: "Adìo, Mario!".

Quàll als vólta incazè nàigher:
- "Insàmma, v'làggna smétterla una bóna vólta, opùr òia da ciamèr i carabinìr?"
- "Ch'al scùsa tànt, mó mé an savèva brìsa che ló al s'éra spustè da 'sta pèrt qué!"
- "Ch'al vàga a fèr del pépp!" e al ciàpa só e als trasferéss in galarì.

E làur drì!

- "Vùt scumétter ch'ai càz un'ètra pàca?"
- "Ah, stavólta ai scumétt ànch zinquànta mélla frànc: t'an è mégga al curàg' ed dèri un'ètra pàca!".

Ai và de drì, ai càza un'ètra gràn pavèna e a gli dìs: "Óu, Mario: sèt che là zà in platèa ai é ón ch'al pèr tótt té?"

AL PLÈ UTIMÉSTA (n. 101)

Ai é ón, tótt plè, ch'al và int'na farmazì par d'mandèr s'i àn quèl par fèr cràsser i cavì.

- "Ló l’é fortunè" a gli dìs al farmazésta. "Própi incù ai ò méss in cumerzì una nuvitè ch'ai ò inventè mé e ch'l'é miracolàusa par fèr turnèr a cràsser i cavì!".

In st'mànter ch'al và a tórla, al d'mànda:

- "Vólel al flacàn grànd o cén?"
- "Ch'a m'al dàga pùr cén: im dàn fastìdi i cavì davànti ai ùc'!".

L’ASPIRADÀUR (n. 100)

Un'arzdàura la sént sunèr a l'óss, la và a'vrìr e ai é un rapresentànt ch'al vànd di aspiradùr:

- "Sgnàura, quàsst qué l'é un aspiradàur spezièl ch'al puléss i tapìd e al smunéss ànch i lavandén. Sànza impàggn, s'la vól, a fàn una próva".
- "A si capitè al mumànt gióst: ai ò al bidè muné".

Al rapresentànt al tira fóra tótt l'armamentèri e al métt in moto tótta la fazànda. L'aparàcc' al tàca a tirèr, a tirèr con una gatèra ch'al parèva un areoplàn e à la fén "flòp" al sacàtt als rimpéss. I vàn a'vrìr e dànter ai éra un umarén tótt nùd:

- "Bàn, e ló chi él?"
- "Mé a sàn l'inquilén ed sàtta e ai éra int al mi césso ch'a caghèva!"

ALBERTO MENARINI (1904-1984)

Usando gli automatismi del "computer" ho potuto facilmente stabilire quante volte ho citato il nome di questo Autore e del relativo aggettivo (menariniano), nella stesura dei miei vari scritti in dialetto o sul dialetto (saggi, appunti, zirudèl, ecc.). Ebbene, comprendendo il titolo di questo capitolo, sono state esattamente 95 volte e…saranno 100 alla fine dell’articolo stesso!
Non mi dilungherò pertanto a ripetere quanto siano stati importanti i suoi studi su Bologna e i bolognesi e come egli sia da anni il mio maggior punto di riferimento, ma mi limiterò oggi, a 24 anni dalla sua scomparsa, a puntualizzare alcune pietre miliari, alcuni aneddoti, alcuni rimpianti.
Avrei tanto voluto conoscerlo per tributargli la mia ammirazione, ciò che il Comune ha fatto dedicandogli una breve strada a Porta Galliera (ma meritava un viale come quelli intitolati a Togliatti e De Gasperi) e che la nostra Università, per quella più volte citata spocchia degli accademici, gli ha riconosciuto in extremis, conferendogli una laurea "ad honorem" solo nel suo ultimo anno di vita! E pensare che Benigni ne ha già avute tre e Guccini una! Lui che pubblicò nel 1942 il suo primo lavoro sui dialetti (I Gerghi Bolognesi), oggi purtroppo introvabile, che fu da subito uno dei testi più importanti in materia, più volte citato da altri Autori. Lui che ha scritto una quindicina di testi fondamentali sul nostro dialetto e sulla nostra città, testi dei quali finora possiedo purtroppo soltanto dieci. Lui che ha scritto anche altre opere sulla nostra lingua e su alcune lingue straniere.
Nel luglio del 2004, in occasione dell'80° anniversario del famoso "Fatàz di zardén Margarétta" ho organizzato una festa alla quale hanno partecipato poche persone, ma della quale sono molto orgoglioso. Avevo invitato anche Gianni Menarini, suo figlio, poiché questi, insieme con Guccini, aveva pubblicato nel 1990 un libro con la famosa "zirudela" restaurata, gli atti processuali, foto, disegni, ricordi e interviste. Egli si negò al telefono e parlai con la moglie, la quale mi disse che il marito aveva abiurato quel lavoro e che non si sarebbe mai sognato di partecipare. Le chiesi allora che cosa facesse quest'uomo ed ella mi rispose che faceva il "poeta" e lo "scrittore". Complimenti!
Il fatto grave è che nessuno (tanto meno quel suo figlio "scrittore") ha raccolto la sua eredità e, dopo di lui, non soltanto c'è il "deserto", ma, a quanto pare, non esistono nemmeno quei seguaci ch'egli avrebbe meritato.
Tra di essi c'è qualche elemento che si esprime con l'indecifrabile linguaggio degli "addetti ai lavori", mentre gli altri sono sciacalli, dilettanti (come il sottoscritto) e mistificatori che, non attenendosi ai suoi insegnamenti, hanno fatto fare un salto indietro di un secolo alle ricerche sul nostro dialetto.

Egli ha messo a punto, tra l'altro, la migliore e più esatta grafia dialettale, a partire dei suoi "Gerghi" fino al "Pinzimonio Bolognese", l'ultima sua opera. Una grafia che, oltre a riprodurre esattamente i nostri non facili suoni, è di facilissima lettura oltre che di una semplicità esemplare. Io mi rammaricherò sempre che non abbia voluto fare un dizionario e una grammatica e che nessun Ente abbia riconosciuto il suo metodo come l'unico possibile, relegando così tra gli "ignoranti" tutti coloro che, dopo di lui, hanno creduto di non seguire o di stravolgere i suoi insegnamenti.
Ciò che io sbrigo in poche parole sull'argomento grafia, lui lo espone in modo esauriente e dettagliato in diversi suoi libri, specialmente in questa sua ultima opera (il Pinzimonio), uscita nel 1985 e data alle stampe dai figli i quali la trovarono già finita e pronta per la pubblicazione:meno male che hanno voluto fare questa… fatica!
Il "Pinzimonio" rappresenta una specie di testamento del Menarini: mentre tutti gli altri libri s'incentravano su un determinato argomento (proverbi, personaggi, animali, monumenti, ecc.), questo parla un po' di tutto e comprende preziosi aggiornamenti delle sue precedenti opere, soprattutto gerghi e proverbi. Quasi che il vecchio studioso, sentendosi prossimo alla fine, abbia voluto mettere insieme tutti quegli appunti ricavati da una vita di osservazioni e di ricerche, in modo che non andassero perduti. E per questo io lo ringrazio ancora, poiché per me la sua opera non è semplice lettura, ma oggetto di continuo studio.
Egli ha più volte ribadito la necessità di fissare sulla carta parole, usanze, personaggi ed espressioni in via di sparizione, affinché i posteri potessero averne una testimonianza. Forse i nostri figli e più ancora i nostri nipoti faranno in tempo ad assistere al definitivo declino del dialetto, ma per tutti coloro che in futuro vorranno sapere come si parlava, come si scriveva il dialetto, usi e costumi e tante altre importanti notizie sulle nostre radici, l'opera del Menarini sarà fondamentale ed insostituibile, anche perché aggiorna e corregge la maggior parte di quanto è stato scritto prima del suo tempo. Meriterebbe un monumento, in questa città così povera di statue!
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Paolo Canè