lunedì 10 marzo 2008

ALBERTO MENARINI (1904-1984)

Usando gli automatismi del "computer" ho potuto facilmente stabilire quante volte ho citato il nome di questo Autore e del relativo aggettivo (menariniano), nella stesura dei miei vari scritti in dialetto o sul dialetto (saggi, appunti, zirudèl, ecc.). Ebbene, comprendendo il titolo di questo capitolo, sono state esattamente 95 volte e…saranno 100 alla fine dell’articolo stesso!
Non mi dilungherò pertanto a ripetere quanto siano stati importanti i suoi studi su Bologna e i bolognesi e come egli sia da anni il mio maggior punto di riferimento, ma mi limiterò oggi, a 24 anni dalla sua scomparsa, a puntualizzare alcune pietre miliari, alcuni aneddoti, alcuni rimpianti.
Avrei tanto voluto conoscerlo per tributargli la mia ammirazione, ciò che il Comune ha fatto dedicandogli una breve strada a Porta Galliera (ma meritava un viale come quelli intitolati a Togliatti e De Gasperi) e che la nostra Università, per quella più volte citata spocchia degli accademici, gli ha riconosciuto in extremis, conferendogli una laurea "ad honorem" solo nel suo ultimo anno di vita! E pensare che Benigni ne ha già avute tre e Guccini una! Lui che pubblicò nel 1942 il suo primo lavoro sui dialetti (I Gerghi Bolognesi), oggi purtroppo introvabile, che fu da subito uno dei testi più importanti in materia, più volte citato da altri Autori. Lui che ha scritto una quindicina di testi fondamentali sul nostro dialetto e sulla nostra città, testi dei quali finora possiedo purtroppo soltanto dieci. Lui che ha scritto anche altre opere sulla nostra lingua e su alcune lingue straniere.
Nel luglio del 2004, in occasione dell'80° anniversario del famoso "Fatàz di zardén Margarétta" ho organizzato una festa alla quale hanno partecipato poche persone, ma della quale sono molto orgoglioso. Avevo invitato anche Gianni Menarini, suo figlio, poiché questi, insieme con Guccini, aveva pubblicato nel 1990 un libro con la famosa "zirudela" restaurata, gli atti processuali, foto, disegni, ricordi e interviste. Egli si negò al telefono e parlai con la moglie, la quale mi disse che il marito aveva abiurato quel lavoro e che non si sarebbe mai sognato di partecipare. Le chiesi allora che cosa facesse quest'uomo ed ella mi rispose che faceva il "poeta" e lo "scrittore". Complimenti!
Il fatto grave è che nessuno (tanto meno quel suo figlio "scrittore") ha raccolto la sua eredità e, dopo di lui, non soltanto c'è il "deserto", ma, a quanto pare, non esistono nemmeno quei seguaci ch'egli avrebbe meritato.
Tra di essi c'è qualche elemento che si esprime con l'indecifrabile linguaggio degli "addetti ai lavori", mentre gli altri sono sciacalli, dilettanti (come il sottoscritto) e mistificatori che, non attenendosi ai suoi insegnamenti, hanno fatto fare un salto indietro di un secolo alle ricerche sul nostro dialetto.

Egli ha messo a punto, tra l'altro, la migliore e più esatta grafia dialettale, a partire dei suoi "Gerghi" fino al "Pinzimonio Bolognese", l'ultima sua opera. Una grafia che, oltre a riprodurre esattamente i nostri non facili suoni, è di facilissima lettura oltre che di una semplicità esemplare. Io mi rammaricherò sempre che non abbia voluto fare un dizionario e una grammatica e che nessun Ente abbia riconosciuto il suo metodo come l'unico possibile, relegando così tra gli "ignoranti" tutti coloro che, dopo di lui, hanno creduto di non seguire o di stravolgere i suoi insegnamenti.
Ciò che io sbrigo in poche parole sull'argomento grafia, lui lo espone in modo esauriente e dettagliato in diversi suoi libri, specialmente in questa sua ultima opera (il Pinzimonio), uscita nel 1985 e data alle stampe dai figli i quali la trovarono già finita e pronta per la pubblicazione:meno male che hanno voluto fare questa… fatica!
Il "Pinzimonio" rappresenta una specie di testamento del Menarini: mentre tutti gli altri libri s'incentravano su un determinato argomento (proverbi, personaggi, animali, monumenti, ecc.), questo parla un po' di tutto e comprende preziosi aggiornamenti delle sue precedenti opere, soprattutto gerghi e proverbi. Quasi che il vecchio studioso, sentendosi prossimo alla fine, abbia voluto mettere insieme tutti quegli appunti ricavati da una vita di osservazioni e di ricerche, in modo che non andassero perduti. E per questo io lo ringrazio ancora, poiché per me la sua opera non è semplice lettura, ma oggetto di continuo studio.
Egli ha più volte ribadito la necessità di fissare sulla carta parole, usanze, personaggi ed espressioni in via di sparizione, affinché i posteri potessero averne una testimonianza. Forse i nostri figli e più ancora i nostri nipoti faranno in tempo ad assistere al definitivo declino del dialetto, ma per tutti coloro che in futuro vorranno sapere come si parlava, come si scriveva il dialetto, usi e costumi e tante altre importanti notizie sulle nostre radici, l'opera del Menarini sarà fondamentale ed insostituibile, anche perché aggiorna e corregge la maggior parte di quanto è stato scritto prima del suo tempo. Meriterebbe un monumento, in questa città così povera di statue!
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Paolo Canè

1 commento:

Antonio Murabito ha detto...

Il mio interesse per Alberto Menarini, il cui nome e la cui attività mi erano del tutto sconosciuti, deriva dal mio interesse per i wellerismi, un particolare tipo di proverbi, dei quali ho rintracciato in rete, uno in dialetto bolognese, stratto dal libro di Menarini, Dizionario intimo del dialetto bolognese.
Poiché gestisco il blog:
http://proverbiescrittori.blogspot.com

cjiedo cortesemente se potete fornirmi altri wellerismi in dialetto bolognese.
Il w. su indicato è il seguente (mi scuso per ogni eventuale errore di trascrizione):

"Que ai e' quèl satta!, géva quall ch'l'avéva pistè una mérda!"
- Qui c'è sotto qualcosa!, diceva quello che aveva pestato una merda! -

Di w. nei dialetti italiani ne ho rintracciato molti di toscani e napoletani, qualcuno pugliese, ma soltanto uno in dialetto bolognese.
Please, help me!
Consultate il mio post "Introduzione ai wellerismi" .
Grazie e cordiali saluti
Antonio Murabito