domenica 15 luglio 2007

AL VIÀGRA (n.47)

Un cìnno, par fèr un schérz a só nón, ai métt una pastéglia ed Viàgra int al vén.
Dàpp un póch al nón al và al césso a pisèr e al tàurna con tótti al brègh móii.

"Cùs'èt fàt, nón?"
"Mó? A sàn andè par pisèr, ai ò tirè fóra un afèri acsé grànd e ai ò pensè: an é mégga al mì e alàura ai ò turnè a méttrel dànter!".

LA GÀRA (n. 46)

Dù v'cén i dìsen:

"Scumitàggna a chi péssa pió luntàn?"
I fàn la gàra e al prémm al dìs: "O, mé am sàn pisè in vàtta al schèrp!"
E ch'l'èter: "Va bàn, t'è vént té!"

AL CASINÓ (n. 45)

Dù amìgh, un pó in là coi àn, i vàn a zughèr al Casinó ed Venézia. I vàn à la rulètt:

"Che nómmer zugàggna?" al d'mànda al prémm e ch'l'èter:
"Nuètr'avàn 75 àn pràn, dànca 7 e 5 pió 7 e 5: zùga in vàtta al 15!". I zùghen e i vénzen.
"Adès ch'sa zugàggna?"
"Mé ai ò la stànzia nómmer 12 e té t'è la 10: zùga al 22!" E i vénzen.
"E adès?"
"Mé ai ò dù fiù e té trì: zùga in vàtta al zénqv!" E i vénzen ancàura.
"E adès?"
"Adès a fàn acsé: t'è détt che t'fè trài ciavè à la stmèna, mé ai'n fàg ónna, dànca zùga al quàter". I zughénn, mó ai véns fóra al zéro!
Al dìs al prémm: "Vàddet, s'à gèven la veritè, a vinzèven ànch stavólta!".

Gomma da masticare

E' una diavoleria americana che gli "yankees" ci portarono nel 1945 e da allora è rimasta e ha messo radici. E' ovvio che io, come tutti, da ragazzo ne abbia fatto largo uso, ma oggi non più. Del resto non è bello vedere ruminare la gente ed è dannoso per i succhi gastrici che vengono stimolati e…non vedono arrivare cibo! Ne fanno maggior uso gli sportivi, forse per stemperare il nervosismo, e i giovani, forse per moda, ma nessuno di essi è un bello spettacolo da vedere, soprattutto se si pensa che gli sportivi, durante le gare, sputano spesso, ciò che è ancora peggio! La gomma viene usata anche da alcuni ultra quarantenni e questo è il peggio del peggio!
Ma è dell'etimologia che voglio parlare: esiste il termine italiano "gomma da masticare" o anche "gomma americana", tuttavia molte Case produttrici preferiscono il termine americano "chewing gum" (gomma da masticare).
Questo termine ha dato origine a diverse parole popolari e dialettali, come ad esempio in quasi tutto il Sud, dove si usa "gingomma", parola costituita da "gin" (traduzione orecchiale di "chewing", pron. "ciùin") e "gomma" che invece è la traduzione letterale italiana di "gum". In Toscana la variante "cingomma".
In altre Regioni, come ad esempio l'Alto Adige, si usa invece "gingum" o "gingun", dove la parola "gum" non viene affatto tradotta e perciò entrambe le parole americane sono tradotte ad orecchio. A Bologna no.
A Bologna non partiamo da "chewing gum", ma da "chicle" che è un lattice sudamericano, base della lavorazione del prodotto, ma che è anche la marca di una delle prime gomme commercializzate in Italia: la "Chiclet's" che ricordo ancora confezionata in scatoline verdi contenenti tanti confetti bianchi di zucchero, con dentro la gomma. Perciò in bolognese diciamo "la cìcles"!
Dalla stessa radice vengono vari termini usati in altre Regioni (ad esempio in Liguria e, credo, anche in Lombardia) del tipo "cicca", ciò che non possiamo usare a Bologna, poiché la "cicca" è il mozzicone della sigaretta!Anche in Piemonte si usa "al cìcles", quasi come a Bologna, ma con maggior proprietà di linguaggio: infatti è maschile (e non femminile, come da noi), come presumo sia maschile il termine sudamericano originale!
Mi mancano altre varianti regionali, ma non posso sapere tutto e, comunque, sono disponibile a ricevere informazioni, così…potrò continuare il discorso!
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Paolo Canè

Proverbio n. 80

Avàir una gràn buàza.
Essere molto stanco.

Proverbio n. 79

Avàir una camìsa al cùl e ch’l’ètra al bugadùr.
Navigare in ristrettezze economiche.

Proverbio n. 78

Avàir un usèl ch’al pèr un faturén da barbìr.
Essere ben dotato!

Proverbio n. 77

Avàir un fiè ch’al màza el màssch (un fiè ch’al c’fà la varnìs).
Avere l’alito cattivo.

Proverbio n. 76

Avàir un cùl grànd ch’me un buvinèl (ch’al pèr un capèl da prìt).
Avere tanta fortuna.

Rigaglie ed Orchestre

I postumi di una tosse lasciano la raucedine, ciò che in dialetto si chiama "ragàia" e in altri dialetti qualcosa di simile a "raganella", con evidente riferimento al verso di quella rana. Esiste anche la frase "avàir i urganén", parola questa che indica il noto strumento musicale e, pur se non citata dai dizionari, molto usata per definire quel particolare fischio dei bronchi di chi è raffreddato o di chi fuma. Nulla a che vedere con l'italiano "rigaglie" o il regionale "regaglie" (sempre al plurale) di pollo che servono per fare il ragù e che in dialetto si chiamano "archèst", ma che io ho sentito spesso pronunciare "archèster", forse per similitudine con "urchèster" che sono i complessi musicali! Questo fatto mi porta ad una strana considerazione: noi tendiamo a considerare "ignorante" colui che, conoscendo sopra tutto il dialetto, parla male l'italiano, mentre lo consideriamo "colto" nell'ambito del suo dialetto e spesso egli stesso si considera tale! Ma non è così: una persona può parlare bene il dialetto e male la lingua (o viceversa), però se è ignorante, ignorante resta e lo dimostrano i vari "strafalcioni" in cui molti incorrono, anche quando parlano dialetto! Una cosa simile accade in fatto di musica: un individuo può suonare benissimo uno strumento ad orecchio, ma se non conosce le note scritte, in quella materia resta un ignorante. Anche il dialetto s'impara ad orecchio e se chi lo parla non ha studiato e perciò non conosce grammatica, fonetica, etimologia e quant'altro, fatalmente commette errori anche parlando quel dialetto in cui, però solo apparentemente, si esprime bene. Errori che vengono poi ripetuti da altri, i quali poi si dichiarano convinti che quella sia la forma giusta, così mi trovo a…ripetere che, in un idioma non scritto, queste diverse forme grafiche e fonetiche non fanno che aggiungere confusione alla confusione!
Ad esempio, una delle tante forme usate per "morire" ("andèr da Brèsa, pighèr i usvéi", ecc.) è "andèr al gabariót", ma io ho sentito spesso dire "gabariól". E ancora, sempre con lo stesso significato, abbiamo "sbàtr' égli ègli", che ho sentito spesso pronunciare "sbàtar àgli èli", senza contare le molte parole che, secondo i diversi parlanti, finiscono in –er o –ar (pèder, mèder, lèder oppure pèdar, mèdar, lèdar?). Qui interviene anche il fatto di essere cittadini o campagnoli, tuttavia non sapremo mai quali siano le forme e le pronunce corrette (sempre che esistano), ma una cosa certa la sappiamo e cioè che ogni bolognese è pronto a giurare che il suo modo è quello giusto e gli che altri sono sbagliati!
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Paolo Canè