sabato 8 settembre 2007

COGNOMI BOLOGNESI

Se in fatto di etimologia dei nomi occorre cautela, in fatto di cognomi è ancora peggio, se possibile! Sulla lingua ci aiutano il latino, la storia, i testi scritti, ecc., ma sui cognomi possono intervenire altri elementi, come l'ignoranza di chi li porta, degli scrivani d'anagrafe, gli errori umani, le traduzioni da altre lingue o dialetti, l'origine da parole ormai in disuso, ecc., tutti elementi non scritti, non documentati, perciò non verificabili. Non resta che…andare a naso: ciò che io faccio abitualmente, ma credo lo facciano anche i veri studiosi di questa difficile, ma affascinante materia: tutti noi abbiamo un cognome e a tutti, credo una volta nella vita, è saltato il "ticchio" di sapere da dove esso derivi, cosa significhi. Alcuni spendono tempo e denaro a fare improbabili e costose ricerche araldiche, con la sciocca speranza di rintracciare origini nobili (ciò che oggi avrebbe un valore molto relativo!), mentre sono proprio i nobili veri che possono facilmente avere notizie dei loro casati, e la quasi totalità degli altri (il sottoscritto compreso e benemerito!) possono cercare finché vogliono, ma non troveranno nulla, proprio perché discendenti dalla più pura nobiltà… contadina! Emidio De Felice è forse il più famoso ed importante studioso dei cognomi italiani e, almeno nelle pubblicazioni in mio possesso, egli prende in considerazione circa 14.000 dei circa 200.000 che pare esistano in Italia (e, aggiunge il De Felice, per essere un Paese di 56 milioni di abitanti, essi non sono neanche tanti!). Poi ci sono alcuni imitatori (se non saccheggiatori) del De Felice, come credo sia un libro del 1995 che tratta di cognomi dell'Emilia-Romagna, il quale non solo riporta pedissequamente le tabelle di De Felice, ma prende in considerazione solo 4.500 cognomi (anche se ne dichiara 6.500!), molti dei quali non emiliani, in quanto inequivocabilmente meridionali! E per giunta non parla nemmeno di quelli che sono i più strani e tipici (che sarebbe più interessante studiare), limitandosi a quelli la cui origine e spiegazione non è solo emiliana, ma panitaliana.
Nel mio piccolo (per scarsa competenza e poco spazio) vorrei trattare l'argomento ancora più ristretto dei cognomi bolognesi, anzi di alcuni di essi, e di fare qualche divagazione, qualche fantasia, qualche mia…illazione, come al solito!
Cominciamo con una suddivisione generica sull'origine dei cognomi.
Essi (ovviamente tutti e non solo quelli bolognesi) si dividono in modo sbrigativo, e di conseguenza non del tutto esatto, nelle seguenti categorie:
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A) DETERMINATIVI
1) dal luogo di provenienza (Mantovani)
2) dal nome del genitore (Bernardi)
3) dal mestiere (Fabbri)
B) SOPRANNOMI
1) dalle caratteristiche fisiche (Rossi)
2) dal carattere (Zucchini)
3) da comportamenti occasionali (Cattabriga)
C) NOMI
1) origine germanica (Bosi)
2) origine latina (Cesari)
3) origine religiosa: latina (Minguzzi), greca (Filippi) e altre
D) AUGURALI O SIMILI (Degli Esposti)
E) DOTTI (Achilli)

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Questi sono i primi 30 cognomi di Bologna, secondo il De Felice:
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1) Rossi
2) Venturi
3) Montanari
4) Fabbri
5) Gamberini
6) Nanni
7) Barbieri
8) Ferrari
9) Degli Esposti
10) Monti
11) Grandi
12) Martelli
13) Sarti
14) Ventura
15) Bernardi
16) Neri
17) Romagnoli
18) Lolli
19) Cesari
20) Monari
21) Cocchi
22) Ferri
23) Malaguti
24) Bortolotti
25) Poli
26) Zucchini
27) Calzolari
28) Lambertini
29) Veronesi
30) Stanzani
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Ora, presentata la materia, farò qualche mia personalissima considerazione partendo dal dire che le classificazioni suddette sono inesatte ed ambigue.
Infatti, ci può essere confusione tra i patronimici (A/2) ed i nomi (C/1-2-3) poiché il cognome Bernardi può indifferentemente significare "figlio di Bernardo", ma anche derivare dal nome tedesco Bernhard. Il patronimico puro sarebbe De Bernardi, ma esso può anche essere costruito con il genitivo latino in "i", senza la particella "de". Confusione ci può essere anche tra i caratteri e comportamenti più o meno abituali (B/2 e 3), infatti uno può essere Zucchini (=zucca, testa dura) o Cattabriga (= attacca briga) sia per carattere che in seguito ad un comportamento occasionale o non.
Ma confusioni ce ne possono essere dovunque, tuttavia voglio tentare una classificazione di queste prima 30 occorrenze bolognesi, ripetendo ed anche ripetendomi che la parola d'ordine in questi casi è: "probabilmente"!
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Patronimici o nomi (8):
Gamberini (vedi più sotto)
Nanni (Giovanni, origine ebraica e cristiana)
Bernardi (Bernhard= forte come l'orso)
Lolli (forse da Julius, origine latina; più difficilmente da "loglio")
Cesari (Cesare, origine latina)
Bortolotti (da Bortolo,Bartolomeo, aramaico= Figlio di Talmay)
Poli (da Paulus, origina latina = piccolo)
Lambertini (da Lambert, origine germanica =famoso nel territorio)
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Mestieri (7):
Fabbri (fabbro ferraio) corrispondente a Smith, Schmidt, ecc.
Barbieri (barbiere)
Ferrari (fabbro ferraio) idem come sopra (al Sud è Ferrara!)
Sarti (sarto) corrispondente a Schneider, Snyder, Taylor, ecc.
Monari (mugnaio) corrispondenti a Miller, Müller, ecc.
Ferri (fabbro ferraio) idem come sopra
Calzolari (calzolaio), vedi Calligari,Sabato,Scarparo e Schuhmacher, Schubert,ecc.
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Etnici (4):
Montanari (originario dai monti)
Monti (idem)
Romagnoli (originario della Romagna)
Veronesi (originario di Verona)
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Carattere o particolarità (4):
Martelli (forse da "martello"= tenace, ma anche forse da fabbro)
Cocchi (forse da "cocco"= caro o da uovo o forse altro)
Malaguti (vedi più sotto)
Zucchini (da "zucca"= testone, ma forse anche da luogo di provenienza)
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Caratteristiche fisiche (3):
Rossi (rosso di capelli e forse anche di pelle o "figlio del Rosso" o altro)
Grandi (grande =alto, importante)
Neri (nero di capelli o di carnagione o "figlio del Nero" o altro)
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Augurali o simili (3):
Venturi (augurio, novità o abbreviazione di Bonaventura o altro)
Ventura (idem)
Degli Esposti (nome di fanciulli abbandonati, corrispondente ad altri italiani: Innocenti, Esposito, Proietti, Trovato, ecc.)
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Origine non accertata (1):
Stanzani (30° in ordine di frequenza a Bologna di cui non c'è notizia)
Questo nome "misterioso" dà il "via" ad alcune mie fantasie.
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Stanzani: non credo abbia a che vedere con la "stanza", ma forse di più con "stare-stanziale" in contrapposizione a "nomade-zingaro", ma potrebbe derivare da nomi o luoghi lontani, dall’ebraico, oltre che da nomi ormai in disuso.
Gamberini: già visto prima e molto comune da noi, non credo c'entri nulla coi "gamberi", ma forse di più con "Gambrinus", la divinità germanica,che è considerato anche l'inventore della birra! Forse era un nome medievale (Gambrino-Gamberino) ora scomparso.
Malaguti: come anche l'omonimo dialettale Malagò ed altri cognomi che iniziano con "Mal-", dei quali peraltro non trovo traccia in nessun libro, indicano probabilmente la cattiveria dei nostri antenati nell'affibbiare i soprannomi anche più feroci ed indecenti, che poi si sono trasformati in cognomi incancellabili! In altra sede ho parlato del siciliano Fecarotta (che non ha bisogno di spiegazioni) o di Maradona (sicuramente da "mala donna" più che dalla greca Maratona) o anche di Brutti, Gobbi ,Delzotto (veneto= figlio dello zoppo, dall’antico italiano “ciotto”), Zucconi, Sgarbi, Lippi (cieco) ecc. Malaguti, probabilmente significa "mal acuto" e cioè "poco intelligente"! Come anche (e sempre probabilmente!) Malferrari significa "fabbro poco abile" e Manservisi-Malservisi "chi fa un cattivo servizio", parola questa che ha e che ha avuto parecchi significati. Parliamo anche di Bergamini, pure comune a Bologna, che è un… anagramma di Gamberini, ma questo è solo un caso! Si potrebbe pensare che c'entri Bergamo, ma c'entra solo…di sponda: infatti il "bergamino" era colui che governava i bovini ed è certo che una volta fossero di più questi garzoni che non gli originari di Bergamo, anche se pare i primi bergamini furono così chiamati, proprio perché originari di quella città! Sarà vero? Mantovani invece pare proprio che significhi ciò che sembra e, vista la sua larga diffusione qui da noi, o abbiamo avuto una grande immigrazione dalla città dei Gonzaga (peraltro vicina in quanto a distanza, dialetto e mentalità), oppure costoro sono sempre stati molto prolifici! Meno spiegabili sono i tanti Veronesi, città molto più lontana. Allo stesso modo i Bolognesi i quali non sono ovviamente di Bologna ma tutti di Ferrara!
Curiosa è l’origine del cognome Macchiavelli o Machiavelli, diffuso soprattutto in Emilia e Toscana, e questo non è una mia fantasia, ma un fatto documentato dal De Felice. Tutto ha origine dal soprannome maschile medievale “Malclavellus”, da cui “Macchiavello”, formato da “mal(o)”= cattivo e “chiavello”= chiodo, paletto, cuneo, che, nel soprannome, assume un ambiguo significato erotico! Perciò nulla a che vedere con le “macchie” vere e proprie, semmai con altre…”macchie”!
Altri nomi abbastanza comuni sono Bulgarelli, Ungarelli e Romanelli (quest'ultimo non tipico di Bologna), che farebbero pensare a massicce immigrazioni da Bulgaria, Ungheria e Romania, ma non credo sia così, anche se per il secondo c'è un'ipotesi di soldati "ungari" che si sarebbero stabiliti da queste parti, però io…ci credo poco!
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Sfortunato a Bologna è il cognome Busoni (raro) oppure il più comune Bosi e i suoi derivati, il quale deriva dal tedesco "böse"= cattivo, ma fa un po' troppa assonanza col nostro "busàn"= omosessuale, a sua volta forse dall'antico italiano locale "bugiarone", e chi porta questi cognomi è destinato al perenne ludibrio, soprattutto da parte dei più stupidi i quali credono di essere i primi a scherzarci sopra! Proprio come avviene per Canè, nome forse non tra i più diffusi, ma certamente tra i più esclusivi di Bologna e comunque del territorio che va da Bologna a Ferrara! Nulla a che vedere con l'amico dell'uomo e lo indica chiaramente l'accento, ma proprio per la zona di provenienza (maceri=canapa=canna) e per le voci dialettali ("càna"- "canèr"), oltre che per l'importanza europea che ha avuto Bologna per tale coltura, io, tra una decina di altre, ho scelto questa che resta un'illazione, ma mi sembra la più probabile origine.
Abbiamo anche Sighinolfi che pure viene deriso per l'assonanza con "sega" = masturbazione maschile e che è pure diffuso in Italia con forme simili (Siconolfi), ma che deriva inequivocabilmente dal germanico "sieg"= vittoria e "wulf" = lupo! Così come Segafredo (il nostro caffè) che è palese italianizzazione di Siegfried= libertà della vittoria o viceversa!E ancora una curiosità che ho "scoperto" poco tempo fa, leggendo i libri del solito Menarini. Si tratta dei due cognomi Bonaga e Ligabue, il primo tipico di Bologna e l'altro diffuso anche in altri centri emiliani, i quali a prima vista sembrano del tutto diversi e invece, probabilmente (!), sono stretti parenti, quasi omonimi! Mi sono chiesto spesso perché il nome Ligabue (del pittore naif, ed ora anche del cantante) fosse tanto diffuso: possibile che il semplice fatto di "legare i buoi" abbia dato origine ad un cognome? Allora perché non abbiamo anche cognomi come, che so, Nutrigallina, Chiudimaiale o altri? Finché un giorno non mi sono imbattuto nella parola dialettale "ligabò" che si italianizza in "ligabue" e che significa proprio ciò che sembra, ma non perché si lega il bue con la corda, ma perché, essendo essa un tipo di pianta selvatica spinosa e coriacea, "lega", cioè intralcia le zampe del bue che sta trascinando l'aratro! E poi c'è Bonaga, uno dei tanti nomi apparentemente augurali che comincia per "bon-", come Bonora, Bonaiuto, Bongiorno, ma anche Bonn e Bononia. Mi viene in mente un certo Benericetti, il quale voleva farmi credere che il suo nome derivasse da un monaco, suo antenato, il quale "faceva bene delle ricette". Mostruosa cantonata, poiché molto probabilmente il significato era di "ben ricevuto" e perciò parente di Bennato, Benvenuto ecc! La regola è sempre quella: "Mai fidarsi delle apparenze! Nulla è (quasi) mai ciò che sembra in fatto di etimologie in generale e di nomi in particolare"! Bonaga (Bunèga) infatti, sempre secondo il Menarini, è un altro nome per indicare la stessa erbaccia detta ligabue (ligabò)!
Del resto, Cervellati (altro cognome tipico di Bologna) non ha nulla a che vedere col cervello (umano): un antico documento dice che i “cervellati” erano salsicce (vedi italiano: cervellata).
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E, tanto per fare un ultimo esempio, del mio amico Angelo Modanesi di Cervia, si potrebbe supporre un'origine modenese con un errore di vocale, se non fosse che il "modano" è un attrezzo che i pescatori romagnoli usano per riparare le reti da pesca!
L'avreste mai detto? Poi magari tutte le mie congetture sono sbagliate, ma abbiamo un'idea di quante e quanto curiose siano le risposte alle quali non avremmo mai pensato e di quanti siano i tranelli nei quali è facile cadere?
Chi desiderasse tuttavia saperne di più, potrà consultare il De Felice che tratta la materia in modo molto più completo. In ogni caso, questi Autori accennano brevemente alle origini, ma esaminano i cognomi da un punto di vista etimologico, cioè cercano di spiegare il loro significato (Fabbri dal fabbro, Molinari dal mugnaio, Rossi dal rosso, ecc.) e basta.
Ho trovato invece un altro testo: "Sulla storia del cognome a Bologna nel Secolo XIII" scritto intorno al 1890 dall'accademico concittadino Augusto Gaudenzi ed edito da Forni, il quale modifica ed integra in modo radicale molte teorie espresse, prima e dopo di lui, da diversi studiosi della materia. E' un libro "difficile" che ho letto e riletto con estremo interesse, ma che non sono riuscito a comprendere del tutto! Ciò in parte perché io sono un po' "duro di comprendonio" e in parte perché è scritto in un complicato linguaggio tecnico, in un italiano di oltre un secolo fa e con decine di citazioni in latino e greco non tradotte! Gaudenzi si differenzia dagli altri, poiché egli non cita, se non incidentalmente, i cognomi bolognesi, ma si limita (si fa per dire!) ad indagare perché tali cognomi sono nati, come, dove e quando: un argomento ancora più affascinante. In un esame lungo 163 pagine fitte fitte, egli parte dagli antichi Greci e Latini, attraverso il basso Medio Evo (il periodo nel quale cominciarono ad evidenziarsi i cognomi attuali), per arrivare ad oggi, citando precedenti studi analoghi, fatti da importanti linguisti (le cui teorie a volte conferma, a volte stronca!), e fissa alcuni principi che, del resto, sono validi per tutti i cognomi d'Italia. Dice tuttavia di aver preso in considerazione la Bologna Comunale non solo perché è la sua città, ma sopra tutto perché essa fu tra le prime ad adottare i cognomi come li intendiamo oggi, mentre la vicina Romagna, ad esempio, li adottò almeno un secolo più tardi. Tralasciando tutta la parte antica, per la quale rimando gli interessati al libro sopra citato, ci sono diverse considerazioni importanti che cercherò di riassumere in modo succinto e semplice, come di solito faccio.
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Innanzitutto egli dice che non ci fu nessuna legge, nessun intervento dall'alto e nessun notaio che imposero l'uso dei cognomi, ma che essi si vennero a formare per necessità nate nel popolo, proprio come era successo e stava ancora succedendo per il passaggio dal basso latino al volgare. Una società ristretta ed analfabeta non aveva bisogno che del nome, al quale, al massimo, si aggiungeva "figlio di" (proprio come nella antica Grecia) e spesso bastava anche il soprannome. Ciò accade anche oggi, soprattutto nelle campagne e nei piccoli paesi, dove la gente è conosciuta per soprannome e pochi sanno come si chiamino all'anagrafe! Ancora non troppi anni fa, certi miei parenti di Sesto Imolese, a nome Minardi, venivano chiamati in loco "Zvàn-André", poiché gli antichi patriarchi di quel gruppo di famiglie erano due e si chiamavano Giovanni e Andrea! Ebbene, chi andava a Sesto e chiedeva dei Minardi, non trovava nessuno che lo sapesse, anche perché i Minardi erano tanti, ma se si chiedeva degli "Zvàn-André", anche i bambini gli indicavano la strada!
Nei paesi del Sud quasi tutti sono conosciuti per soprannome e il nome e cognome lo usano solo negli atti ufficiali o per la targhetta alla porta.
Altra considerazione riguarda il tempo di formazione: alcuni credono erroneamente (e lo hanno anche pubblicato) che i cognomi si siano venuti a formare addirittura nel X e XI secolo, mentre categoricamente lo esclude Gaudenzi, il quale dice che a Bologna non esisteva nessun cognome prima della seconda metà del XIII secolo e che in certe zone essi arrivarono addirittura nel XV! Non solo, ma dice anche che alcuni cittadini noti avevano il cognome, ma non lo usavano: è il caso del famoso giurista D'Accursio che non aveva cognome, ma lo ebbe suo figlio Francesco, il quale, pure giurista, non lo usò mai. Del resto, una volta la gente non dava al proprio nome l'importanza d'oggi: ricordo un aneddoto accaduto a mio padre negli anni '30, quando mandò un fattorino (non troppo intelligente) da un nuovo operaio per chiedergli come si chiamasse. Il fattorino tornò dicendo che si chiamava Albano e Albano venne chiamato da tutti per 20 anni, fino al giorno in cui egli se ne andò e solo quel giorno egli disse di chiamarsi Onofrio! Dice anche che la formazione cognominale s'è sviluppata di pari passo con il progresso: più una città era ricca e più la gente ricca si sceglieva un cognome di appartenenza, che non era necessariamente quello del padre, ma che era quello del gruppo, del quale potevano far parte anche soggetti estranei e non consanguinei, similmente alla "familia" romana che includeva anche i servi. Dice inoltre che il cognome si formò prima in certe zone poi in altre, prima nelle città poi nelle campagne, prima presso i nobili ed i ricchi poi presso il popolo. Insomma: un processo molto più graduale, spontaneo e complicato di quanto si sarebbe potuto pensare.
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Anche Gaudenzi, come più tardi gli altri, conferma le "categorie" d'origine dei nomi: patronimici, da soprannomi, da mestieri, da luoghi d'origine, ecc. ma precisa che almeno il 50% deriva da nomi propri e, in questo caso, si scopre che moltissimi cognomi si riferiscono a nomi propri, oggi ormai scomparsi. Che Uguccione, Azzo e simili fossero antichi nomi non più in uso, lo sapevamo tutti, ma nessuno avrebbe mai pensato che il cognome "Carboni", anziché dal carbone, derivasse dal nome proprio medievale "Carbone" che nessuno oggi si sognerebbe più di dare a un bambino!
Ma la cosa più stimolante è che questi nomi scomparsi, senza che noi potessimo immaginarlo, sopravvivono nei nostri cognomi: un esempio per tutti è il cognome Bencivenni che poteva fare pensare ad un nome augurale o a qualcuno che… "venne qui bene",invece è,a quanto pare, patronimico del nome proprio antico "Bencivenne"! Ecco perché ho sempre detto che in fatto d'etimologia, e ancor più d'onomastica, occorre fare molta attenzione alle trappole!
All'inizio i cognomi venivano scritti o in volgare o in basso latino (Galluzzi e Carbonesi suonavano Galutii e Carbonensis) e varie storpiature erano anche causate da errori di notai e scrivani o dalla generale scarsa conoscenza delle lettere.
Ma era anche possibile che la gente si scegliesse un cognome, che se lo cambiasse o che lo migliorasse a piacere, fino al giorno in cui, per legge, esso dovette restare immutato e trasmesso ai figli per via paterna. È giusto così, ma io continuo a pensare che certi cognomi buffi e osceni dovrebbero poter essere corretti, anche lievemente, senza dover impazzire con la burocrazia, che non fa caso a chi per tutta la vita deve essere vittima del dileggio altrui.
La materia è controversa per antonomasia: accade che gli studi portino e certe conclusioni, ma altri studi portino a conclusioni molto diverse. Nel caso di alcune antiche famiglie nobili non si sa bene se esse abbiano dato il nome al loro castello, torre o territorio o se ne abbiano tratto il nome.
Ed è anche certo che i nostri antenati erano più cattivi di noi, poiché davano impietosi soprannomi i quali poi diventarono cognomi immutabili.
Inoltre, il Gaudenzi dice che non tutti i cognomi con finale "i" sono genitivi, poiché molti sarebbero il plurale del nome di un gruppo.
Dice infine che spesso i diminutivi, almeno alle origini, significavano "figlio di", ad esempio Gherardino o Gherarduccio o Gherardello era figlio di Gherardo e tutti hanno dato origine a cognomi diversi!
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Da tutte queste considerazioni e da molte altre che non sto a riportare, risulta evidente che per studiare l'origine ed il significato di nomi e cognomi occorre conoscere l'italiano antico, il latino, il greco, il tedesco (o longobardo), il bizantino e tutti i linguaggi dei popoli che hanno dominato, per poco o per molto tempo, le nostre Regioni. Cognomi che possono essere anche recenti, come storicamente è stata recente al Sud la dominazione spagnola che ha lasciato dei Martinez e dei Lopez che sono inequivocabili, ma anche dei Sàbato o Sabàto che non hanno nulla a che vedere con il giorno della settimana, ma molto più verosimilmente con i "zapatos" che sono scarpe. A volte noi leggiamo i risultati delle ricerche e…ci crediamo, sia perché chi le ha fatte ne sa più di noi, sia perché in qualche modo dobbiamo rispettare il lavoro altrui, tuttavia spesso sorgono dubbi ed è il caso del cognome Sica o De Sica, frequente a Napoli, che il De Felice fa risalire alla base Siccani, individuando in “sic” il longobardo "Sieg=vittoria". Sarà così, ma io mi chiedo: non avrebbe potuto accennare anche all’eventualità che il nome potesse derivare da quella "sica" che presso i romani era un'arma corta e che ha dato all'italiano il termine "sicario"?
Oggi la ricerca dell'etimologia di un cognome si è ridotta a semplice curiosità, poiché, come afferma anche De Felice, esso è ormai un'etichetta che ha perso il significato originale: quando incontriamo un Marangoni che di mestiere faccia davvero il falegname è un caso!Quella dei nomi e dei cognomi, ma anche dei toponimi e delle parole, è una foresta intricata e misteriosa, nella quale noi troviamo qualche sentiero qua e là, ma non sapremo mai con esattezza come siano andate le cose, quali percorsi abbiano fatto per arrivare a noi e da dove siano partiti: di certo c'è solo che ora sono così e non cambieranno, se non molto più lentamente. Però, mentre le parole, i nomi ed i toponimi possono essere soggetti a novità e neologismi, i cognomi restano fissi, anzi tendono a diminuire a causa dell'estinzione delle famiglie.
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Paolo Canè

PAVAGLIONE = CONFUSIONE !

Nel corso di un'intervista, è stato chiesto al famoso giornalista Roberto Gervaso se ci fosse ancora qualcosa da scrivere ed egli ha risposto: "C'è sempre qualcosa da scrivere!". Infatti è così anche per me, che sono soltanto un dilettante. Scrivo per passarmi il tempo, per divertirmi e, sopra tutto, per chiarirmi le idee. Idee che sono spesso confuse, ma vedo che, su certi argomenti, sono confuse anche quelle dei "grandi" ed è il caso del nostro Pavaglione. Ogni bolognese conosce questo lungo portico che, dal Palazzo dei Banchi in Piazza Maggiore, passando dal Museo Civico, arriva al Palazzo dell'Archiginnasio in Piazza Galvani e che è il luogo dello "struscio" dei petroniani. Ma è del nome che voglio parlare: tutte le fonti sono concordi nell'asserire che il nome deriva dal latino "papilio –onis" (farfalla), attraverso il francese "pavillon", tuttavia sono discordi per quanto riguarda il collegamento tra la "farfalla" ed il portico. Dato che in passato, nell'attuale Piazza Galvani, si svolgeva il commercio dei bozzoli per la seta, taluni collegano la "farfalla" con la crisalide in cui il baco si trasforma dopo la sua terza e "grossa" dormita (da cui forse "dormire della grossa"), altri, al contrario, collegano "Pavaglione" con il "padiglione", cioè la grande tenda (così si chiamavano le grandi tende degli accampamenti militari), sotto la quale si svolgeva tale commercio, cioè al riparo dal sole o dalle intemperie. Perciò mi chiedo: baco o tenda?
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Credo di più a questa seconda ipotesi, infatti il Dizionario Etimologico del Devoto collega "padiglione" a "papilio", senza però aggiungere altro. Quello del Cortelazzo dice la stessa cosa e aggiunge che "l'accampamento militare, visto dall'alto, ricordava le ali di tante farfalle" (definizione sposata anche dallo Zingarelli), ma nessuno di essi parla di…bachi da seta che sono citati solo da alcuni linguisti bolognesi (forse dilettanti come me), i quali collegano direttamente il nostro Pavaglione con la farfalla dei bachi e non con gli accampamenti militari. Dall'alto della mia… ignoranza credo che gli accampamenti militari siano più antichi del commercio dei bozzoli e che perciò si debba collegare il nostro Pavaglione all'immagine figurata della farfalla, evocata dai tendaggi svolazzanti (sotto i quali peraltro si svolgeva il commercio dei bozzoli!) e che poi la parola "padiglione" collegata al francese (Cortelazzo) o incrociata con "badiglio" (Devoto) sia poi stata usata per indicare il nostro portico ed almeno una altra mezza dozzina di parole della nostra lingua.
E, a proposito di Bologna e di etimologie azzardate, parliamo un po' della famiglia senatoria dei Fantuzzi e del loro palazzo in via San Vitale.
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Sulla facciata bugnata di questo singolare palazzo troneggiano due elefanti in bassorilievo che rappresentano l'emblema della famiglia, poiché i suoi componenti pretendevano che il loro nome derivasse da quello di tali animali: Elefanti - Elefantuzzi- Fantuzzi, cosa che si erano inventati di sana pianta, perché, pur non possedendo prove concrete, mi sento di affermare che in questa storia non ci sia un briciolo di verità! Il bello è che ancora oggi diversi testi di storia bolognese riportano la stessa fandonia. Cosa c'entrano questi animali africani con Bologna?
E cosa c'entra il nome Fantuzzi con gli elefanti? Allo stesso modo esso potrebbe venire da "lestofante", da "infante" o da qualsiasi altra parola che finisca per -fante! Io credo che l'origine di questo nome sia molto meno fantasiosa ed esotica e che abbia a che vedere con la duplice natura dei termini latini "fans" e "infans". Il primo indicava il soldato d'infimo grado, il pedone dell'esercito romano e per estensione il ragazzo, il giovane uomo, termine che ha dato origine a tutta una serie di parole. Il secondo, da in- e fans (dal verbo fari= parlare), significa letteralmente "che non parla", cioè il neonato, termine che ha dato origine a molte altre parole dell'italiano e delle altre lingue neolatine. E' probabile che i due termini si siano in seguito influenzati o mescolati, dato il significato simile di "bambino" e "giovane uomo", e che, al momento della formazione dei cognomi, esistesse, se non un vero e proprio nome di battesimo, quanto meno una sorta di professione o di stato sociale (come ancora oggi si usa per le carte da gioco!) e cioè il "fante". Da qui tutti i vari diminutivi e vezzeggiativi (fantino, fantuccio, ecc.) e così appare più verosimile che il nostro Fantuzzi sia il genitivo o il plurale di un gruppo di persone, le quali facevano capo ad un Fantuccio -ucci, pronunciato come vuole il dialetto bolognese anche per molti altri nomi in –ucci, con la doppia "z"! Altro che elefanti e giraffe!Bisogna fare attenzione alle fandonie, come quella sul Catino di Pilato, in Santo Stefano, che molti pseudo esperti spacciano come "il catino in cui Pilato si lavò le mani"! A parte che Pilato quel catino non l'ha mai visto (infatti risale all'epoca longobarda) e sempre che quelle mani se le sia lavate, qualcuno ha confuso, chissà come, la parola "pila palatii" nel suo significato di "tazza per l'acqua", "acquasantiera" o "catino in pietra del Palazzo" col nome del procuratore romano di Giudea: ci vuole una buona dose di fantasia, di faccia tosta e di… ignoranza!
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Paolo Canè

IL DIALETTO DI BOLOGNA

Paradossalmente potrei dire che i bolognesi e il dialetto bolognese non esistono! O meglio, esistono sempre di meno e presto, ahimé, non esisteranno più del tutto. Altro è "essere" bolognesi, altro è "abitare" a Bologna: se dovessimo escludere chi è nato altrove ed anche chi, pur essendo nato a Bologna, proviene da una famiglia forestiera, i bolognesi "d.o.c." sarebbero ben pochi! La cosa, in sé, non avrebbe importanza, poiché il luogo di nascita non determina differenze qualitative tra gli individui, ma diventa importante se la si mette in relazione al dialetto. Infatti, chi nasce a Bologna, figlio e nipote di bolognesi che, tra di loro, hanno sempre parlato dialetto, potrà ritenere di parlare abbastanza bene il dialetto locale, ma chi nasce altrove, in una famiglia che abbia sempre parlato un dialetto diverso, potrà tentare di parlarlo, ma con scarsi risultati. E questo non vale solo per chi sia nato, supponiamo al Sud o all'estero, ma anche per chi proviene da città vicinissime, come Ferrara, Ravenna o Modena, dove si parlano dialetti simili, ma diversi e questa diversità non potrà mai essere nascosta del tutto. Perché ho detto "abbastanza" bene? Perché il nostro dialetto, appunto, non esiste o non esiste più! Il dialetto scritto non è mai esistito: vero che molti hanno tentato di scriverlo, ma nessuno ha mai stabilito "come" lo si debba scrivere e quali siano le corrette grammatica, morfologia, sintassi e quant'altro. Il nostro (come tutti gli altri dialetti) è, infatti, lingua esclusivamente parlata e di conseguenza ognuno l'ha sempre parlato come voleva e come poteva! Certo che fino a 60-80 anni fa, quando i "forestieri" erano ancora relativamente pochi e quasi tutti parlavano preferibilmente dialetto, ne esisteva una forma abbastanza condivisa, la quale addirittura presentava varianti da zona a zona della città, oltre che dipendere dalla cultura, dalla fantasia, dalla dialettica e dalla memoria dei parlanti, ma era e restava una lingua solo parlata e non scritta, se non eccezionalmente.
"Io capisco il bolognese, ma non lo so scrivere e faccio fatica a leggerlo": quante volte avrete sentito questa frase? Sfido io, e chi ha mai stabilito "come" si dovrebbe scrivere? E chi ci ha mai insegnato a leggerlo? Addirittura, già a quelli dalla mia generazione (seconda metà del XX° secolo) fu vietato di parlarlo, come se fosse un idioma volgare, una cosa di cui vergognarsi, a favore della lingua italiana che ci veniva insegnata a scuola e che,secondo molti,avrebbe dovuto essere la sola da usare!
Un principio comprensibile dall'Unità d'Italia in poi, poiché anche l'uniformità linguistica avrebbe dovuto contribuire alla formazione degli italiani, ciò che stava a cuore ad illustri personaggi, come D'Azeglio, Cattaneo ed altri: se ognuno avesse continuato a parlare il proprio dialetto, senza imparare l'italiano, sarebbe stato un ostacolo a quel processo di unificazione voluto dagli italiani, molti dei quali avevano immolato alla causa la loro stessa vita.
Ma da allora è passato un secolo e mezzo: l'Italia è già una solida realtà, l'italiano lo sappiamo (quasi) tutti, gli "italiani" sono già (quasi) fatti e dunque non ci resta che andare a frugare tra le macerie del passato per cercare di ritrovare i frammenti delle nostre radici.
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Tutti i politici, dovunque siano seduti in Parlamento, ci parlano dei "valori" (anche se sovente non ci dicono chiaramente "quali" essi siano!) e la conoscenza delle nostre radici (storia, tradizioni e dialetto) sicuramente è uno di questi valori! Ovviamente non voglio dire che noi si debba ricominciare a parlare dialetto "invece" dell'italiano, ma che lo si debba conoscere "in aggiunta" all'italiano e magari anche all'inglese, al francese o ai tanti altri dialetti della Penisola. In questo senso, parlare bolognese non è indice d'ignoranza: è una cultura aggiunta, una conoscenza ritrovata, perché è una lingua nostra, simpatica e ricchissima, più ricca dell'italiano stesso. E naturalmente ciò vale per tutti i dialetti d'Italia.
Nostra perché ci distingue dagli altri e perché i nostri antenati l'hanno parlata per secoli. Simpatica perché anche gente di buona cultura la usa talvolta per sorridere, per stabilire quel rapporto confidenziale e di complicità che va a toccare la sfera intima ben più di quanto non lo faccia l'italiano. Ricchissima perché contiene migliaia di sfumature, oltre ad una declinazione in più, ad un tempo verbale in più, a modi che non esistono in lingua, ma questo è un lungo discorso che farò magari in altra sede, ancorché esista una vasta bibliografia al riguardo, che ha raggiunto la sua massima evoluzione con gli studi del Menarini. E io stesso, nel mio piccolo, ho contribuito con studi, saggi e "zirudelle" (le note composizioni dialettali in rima).
In questa sede voglio sfatare l'antica ed errata opinione, secondo la quale il dialetto sarebbe corruzione dell'italiano: ebbene, il dialetto si è venuto a formare oltre un millennio prima dell'italiano ed è costruito su una base latina e su una serie di vari idiomi locali dalle origini più disparate ed è stata per secoli l'unica lingua parlata dal popolo, poiché lo stesso latino era conosciuto da pochi e scritto da pochissimi.
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Faccio un esempio: quando un bolognese prende uno strappo alla schiena dice: "Am é v’gnó un znèster!", parola che noi scherzosamente traduciamo in "ginestro" e che i forestieri considerano strana, buffa ed…ostrogota! Niente di più falso: la parola deriva dal latino "sinistrum" (incidente, come oggi usato in materia di assicurazioni), che, attraverso il tardo latino "sinexter" porta al nostro "znèster"! E una curiosità: molti credono che la cittadina di Medicina derivi il proprio nome dalla nota storia di Federico Barbarossa che ivi sarebbe stato guarito da uno stregone locale, ma anche questa è una storia da sfatare, poiché la località era indicata con un nome simile (Medesana) già documentato alcuni secoli prima del Barbarossa. Nome che probabilmente deriva dal verbo latino "medeor" (curare) o dal nome proprio "Medetius". Suppongo perciò che il nome dialettale "Medgén-na" o "Migìna", come dicono i locali, derivi direttamente dal latino e non sia una traduzione dell'italo-toscano "medicina" (elemento medicamentoso) che pure in dialetto si dice "medgén-na"! Dunque l'italiano c'entra poco, anche perché esso si è venuto a creare solo nel '300 come lingua convenzionale, basata sul dialetto fiorentino, ma che poi si è lentamente trasformata, grazie all'apporto di scrittori e poeti di tutta Italia, tanto che oggi non ha più nulla a che fare con quel dialetto. Questa è un'altra storia da sfatare, poiché molti ancora erroneamente credono che il toscano sia la nostra vera lingua, mentre invece è un dialetto come tutti gli altri, con pari dignità, anzi i dialetti toscani contengono forse meno latino degli altri, bolognese compreso!
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Paolo Canè

GLI ABITANTI DI BOLOGNA

Non so quanti abitanti avessero Felsina e Bononia nei tempi antichi: leggendo qua e là ho trovato solo poche notizie. Volendo partire dall'arrivo dei Romani, pare che P.C.S. Nasica abbia lasciato 2 o 3 mila legionari (i pareri sono discordi) ed abbia concesso loro altrettanti appezzamenti di terra. Presumo che essi si unissero ad un certo numero di indigeni già presenti, anche perché, se questi legionari romani non avessero trovato qualche donna, noi…non saremmo qui! Quanti saranno stati dunque gli abitanti negli anni intorno alla nascita di Cristo? Pare fossero già 30.000, secondo alcuni, ma difficile è averne certezza. Le cifre certe che ho trovato sono le seguenti:

Anno
1300 - 50.000 abitanti che ne facevano la quinta o sesta città d'Europa!
1348 - 25.000 abitanti, dopo la peste di quell'anno.
1490 - 50.000 abitanti circa, di nuovo!
1587 - 72.000 abitanti
1595 - 59.000 abitanti, calo dovuto a un periodo di crisi (emigrazione)
1630 - 47.000, dopo la peste.
1709 - 80.000, secondo il francese S.rs Rogissart-Havard
1815 - 65.000 abitanti
1840 - 71.000 abitanti
1970 - 490.000 abitanti (massima espansione)
1987 - 430.000 abitanti (calo demografico e decentramento Comuni limitrofi)
(curiosamente 50/80 mila abitanti come massimo, dal 1300 al 1850, poi l’esplosione!)

COMPOSIZIONE SOCIALE NEL 1815 (DOPO NAPOLEONE)

NOBILI (agiati, possono vivere di rendita)…………………1.805
BENESTANTI (condizione di poco inferiore)……………...2.975
MEDIOCRI (vivono del loro lavoro, decorosa condizione)...7.941
OPERAI (salariati, hanno appena di che vivere)…………..19.327
BISOGNOSI (mendicanti e disoccupati)…………………..32.783 Totale 65.000 ca

COMPOSIZIONE SOCIALE NEL 1840

Impiegati nell'industria……………………………………17.601
Impiegati nel commercio…………………………………...3.420
Impiegati nei servizi (tra cui i domestici)…………………..8.848
Impiegati nell'agricoltura……………………………………..641
Professionisti, insegnanti e impiegati………………………2.786
Religiosi………………………………………………………764
Possidenti…………………………………………………...7.604
Casalinghe…………………………………………………..9.690
Altri non precisati…………………………………………10.008
Disoccupati e miserabili……………………………………9.738 Totale 71.000 ca


E' interessante notare che in 25 anni (1815-1840) la popolazione è aumentata di sole 6 mila unità, mentre nei circa 125 successivi è aumentata di ben 420 mila unità ed è altrettanto interessante che "i miserabili" siano passati dal quasi 50% del 1815 al quasi 14% del 1840: considerando che già un secolo dopo (nel 1940) detti "miserabili" saranno stati meno dell'1%, dovremmo dire "grazie" ai nostri nonni e bisnonni, ma dovremmo anche fare conoscere queste cifre ai Paesi nei quali si muore di fame. L'Italia non ha avuto il petrolio dell'Iraq, le miniere della Romania e il "ben di Dio" della Russia, ma evidentemente gli italiani e i bolognesi si sono rimboccati le maniche! Ciò non ci esime dal dovere di aiutare i Paesi poveri, ma ricordiamoci che nessuno ha aiutato noi, anzi, tutti hanno fatto a gara per derubarci! Ho sempre pensato che i governi dei Paesi poveri potrebbero, anzi dovrebbero impegnarsi di più.

Non tutti gli abitanti di Bologna sono bolognesi e perciò non tutti sono convinti di abitare nella "più bella città del mondo" (come dicono tutti coloro che vivono con piacere nella propria città!). Prendo due pareri, a caso, tra i tanti visitatori stranieri:

"Questa grande città è triste e mal tenuta. Molti quartieri sembrano deserti e nelle piazze vuote dei monelli giocano e vengono alle mani. Moltissimi palazzi monumentali appaiono cupi come certe nostre case di provincia. In effetti era una città di provincia, governata da un rappresentante papale: di una repubblica agitata si fece una città morta. Ci facciamo indicare il miglior caffé, ma ne usciamo in fretta, poiché, più che una sala per avventori, è un tugurio cadente. Guardiamo per un istante due torri pendenti costruite nel dodicesimo secolo, quadrate, bizzarre, che non hanno niente dell'eleganza di quella di Pisa."
Hippolyte Taine - 1864


"Bologna è bella: gli italiani non ammirano, quanto merita, la bellezza di Bologna ardita, fantastica, formosa, plastica, nella sua architettura, trecentistica e quattrocentistica, di terra cotta, con la leggiadria delle logge, di veroni, delle bifore, delle cornici. Che incanto doveva essere tutta rossa e dipinta nel cinquecento! I preti e i secentisti spagnoli e gli arcadi settecentisti la guastarono, mortificandola di lividori, mascherandola e mettendole la biacca. Oggi, a mano a mano, i lividori spariscono alla luce della libertà, la maschera casca e la biacca si spasta. E le bellezze di Bologna sorridono al sole."
Giosuè Carducci -1888
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A parte che Carducci ha abitato a Bologna per oltre 40 anni, mentre questo monsieur Tayne (sicuramente il solito spocchioso francese) non sarà stato a Bologna più di 4 giorni, mi chiedo: sono semplicemente due pareri contrastanti (nessuna città è bella per tutti!) o si tratta del parere di un poeta e di un "tizio" che non ha capito nulla?
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Paolo Canè

Proverbio n. 94

Chèghla, Magagnól!
Urlato a colui che fa la spia al padrone.

Proverbio n. 93

Che Dio ai al dàga (ai la dàga).
Un augurio per lei ( o per lui).

Proverbio n. 92

Cazadàura d’usì bragarù.
Cacciatrice di uomini.

Proverbio n. 91

Catìv ch’me la pózza.
Estremamente cattivo.