lunedì 11 febbraio 2008

BOLOGNA: LA SUA GENTE, IL SUO DIALETTO

Il fatto di non essere un intellettuale è una pena per chi scrive e un… sollievo per chi legge! Chi scrive, infatti, vorrebbe esserlo, per saperne di più, per meglio esporre la materia, mentre chi legge sarà lieto di non doversi sorbire quel linguaggio usato dagli studiosi, appropriato sì, ma spesso troppo profondo e complicato, tanto da riuscire ostico ai non addetti ai lavori. Dunque, meglio così: chi scrive è un autodidatta, appassionato ed innamorato della materia che cercherà, con parole semplici, di chiarire qualche punto d'interesse comune ai bolognesi e relativo al loro dialetto.
Paradossalmente potrei dire che sia i bolognesi, che il dialetto bolognese non esistono! O meglio, esistono sempre di meno e presto, ahimé, non esisteranno più del tutto. Altro è "essere" bolognesi, altro è "abitare" a Bologna: se dovessimo escludere chi è nato altrove ed anche chi, pur essendo nato a Bologna, proviene da una famiglia forestiera, i bolognesi "d.o.c." sarebbero ben pochi! La cosa, in sé, non avrebbe importanza, poiché il luogo di nascita non determina differenze qualitative tra gli individui, ma diventa importante se la si mette in relazione al dialetto. Infatti, chi nasce a Bologna, figlio e nipote di bolognesi che tra di loro hanno sempre parlato dialetto, potrà ritenere di parlare abbastanza bene il dialetto locale, ma chi nasce altrove, in una famiglia che abbia sempre parlato un dialetto diverso, potrà tentare di parlarlo, ma con scarsi risultati.
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E questo non vale solo per chi sia nato, supponiamo al Sud o all'estero, ma anche per chi proviene da città vicinissime, come Ferrara, Ravenna o Modena, dove si parlano dialetti simili, ma diversi e questa diversità non potrà mai essere nascosta del tutto. Perché ho detto "abbastanza" bene? Perché il nostro dialetto, appunto, non esiste o non esiste più! Il dialetto scritto non è mai esistito: vero che molti hanno tentato di scriverlo, ma nessuno ha mai stabilito "come" lo si debba scrivere e quali siano le corrette grammatica, morfologia, sintassi e quant'altro. Il nostro, come tutti gli altri dialetti, è infatti lingua esclusivamente parlata e di conseguenza ognuno l'ha sempre parlato come voleva e come poteva! Certo che fino a 60-80 anni fa, quando i "forestieri" erano ancora relativamente pochi e quasi tutti parlavano preferibilmente dialetto, ne esisteva una forma abbastanza condivisa, la quale addirittura presentava varianti da zona a zona della città, oltre che dipendere dalla cultura, dalla fantasia, dalla dialettica e dalla memoria dei parlanti,ma era e restava una lingua solo parlata e non scritta,se non eccezionalmente. "Io capisco il bolognese, ma non lo so scrivere e faccio fatica a leggerlo": quante volte avrete sentito questa frase? Sfido io, e chi ha mai stabilito "come" si dovrebbe scrivere? E chi ci ha mai insegnato a leggerlo?
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Addirittura, già a quelli dalla mia generazione (seconda metà del XX° secolo) fu vietato di parlarlo, come se fosse un idioma volgare, una cosa di cui vergognarsi, a favore della lingua italiana che ci veniva insegnata a scuola e che,secondo molti,avrebbe dovuto essere la sola da usare! Un principio comprensibile dall'Unità d'Italia in poi, poiché anche l'uniformità linguistica avrebbe dovuto contribuire alla formazione degli italiani, ciò che stava a cuore ad illustri personaggi,come D'Azeglio, Cattaneo ed altri: se ognuno avesse continuato a parlare il proprio dialetto, senza imparare l'italiano, ciò sarebbe stato un ostacolo a quel processo di unificazione voluto dagli italiani, molti dei quali avevano immolato alla causa la loro stessa vita. Ma da allora è passato un secolo e mezzo: l'Italia è già una solida realtà, l'italiano lo sappiamo (quasi) tutti, gli "italiani" sono già (quasi) fatti e dunque non ci resta che andare a frugare tra le macerie del passato per cercare di ritrovare i frammenti delle nostre radici. Tutti i politici, dovunque siano seduti in Parlamento, ci parlano dei "valori" (anche se sovente non ci dicono chiaramente "quali" essi siano!) e la conoscenza delle nostre radici (storia, tradizioni e dialetto) sicuramente è uno di questi valori! Ovviamente non voglio dire che noi si debba ricominciare a parlare dialetto "invece" dell'italiano, ma che lo si debba conoscere "in aggiunta" all'italiano e magari anche all'inglese, al francese o ai molti altri dialetti della Penisola.In questo senso, parlare bolognese non è indice d'ignoranza, ma di una cultura aggiunta, di una conoscenza ritrovata, perché è una lingua nostra, simpatica e ricchissima, più ricca dell'italiano stesso. E' ciò vale per tutti i dialetti d'Italia.
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Nostra perché ci distingue dagli altri e perché i nostri antenati l'hanno parlata per secoli. Simpatica perché anche gente di buona cultura la usa talvolta per sorridere, per stabilire quel rapporto confidenziale e di complicità che va a toccare la sfera intima ben più di quanto non lo faccia l'italiano. Ricchissima perché contiene migliaia di sfumature, oltre ad una declinazione in più, ad un tempo verbale in più, a modi che non esistono in italiano, ma questo è un lungo discorso che farò magari in altra sede.In questa sede voglio sfatare l'antica ed errata opinione, secondo la quale il dialetto sarebbe corruzione dell'italiano: ebbene, il dialetto si è venuto a formare oltre un millennio prima dell'italiano ed è costruito su una base latina e su una serie di vari idiomi locali dalle origini più disparate ed è stata per secoli l'unica lingua parlata dal popolo, poiché lo stesso latino era conosciuto da pochi e scritto da pochissimi. Potrei fare un paio d'esempi: quando un bolognese prende uno strappo alla schiena dice: "am é vgnó un znèster!", parola che noi scherzosamente traduciamo in "ginestro" e che i forestieri considerano strana, buffa ed…ostrogota! Niente di più falso: la parola deriva dal latino "sinistrum" (incidente, come oggi usato in materia di assicurazioni), che, attraverso il tardo latino "sinexter" porta al nostro "znèster"! Molti credono che la cittadina di Medicina derivi il proprio nome dalla nota storia di Federico Barbarossa che ivi sarebbe stato guarito da uno stregone locale, ma anche questa è una storia da sfatare, poiché la località era indicata con un nome simile (Medesana) già documentato alcuni secoli prima del Barbarossa. Nome che probabilmente deriva dal verbo latino "medeor" (curare) o dal nome proprio "Medetius" ed io suppongo che il nome dialettale "Medgén-na" o "Migìna", come dicono i locali, derivi direttamente dal latino e non sia una traduzione dell'italo-toscano "medicina" (elemento medicamentoso) che pure in dialetto si dice "medgén-na"! Dunque l'italiano c'entra poco, anche perché esso si è venuto a creare solo nel '300 come lingua convenzionale, basata sul dialetto fiorentino, ma che poi si è lentamente trasformata, grazie all'apporto di scrittori e poeti di tutta Italia, tanto che oggi non ha più nulla a che fare col fiorentino. Questa è un'altra storia da sfatare, poiché molti ancora erroneamente credono che il toscano sia la nostra vera lingua, mentre invece è un dialetto come tutti gli altri, con pari dignità, anzi i dialetti toscani contengono forse meno latino degli altri, bolognese compreso!
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Paolo Canè

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ho trovato quest oblog per caso..molto interessante..posso fare una domanda?? una mia amica emiliana dice spesso agli amici GHE SE VE cosa significa?? grazie..ciao

Anonimo ha detto...

davvero nessuno sa dirmi cosa significa?? mi fareste un gran favore..

Riccardo G. ha detto...

Personalmente credo che significhi "Ci si vede". Non è certo un modo di dire "bolognese", mi sembra ci sia una forte influenza di un dialetto lombardo (milanese?).

Angelo ha detto...

Ho trovato il blog girando in Internet e mi è molto piaciuto; avrei bisogno di fare tradurre dei testi da italiano a dialetto bolognese.

Chi mi potrebe aiutare??

Grazie e saluti.