lunedì 9 giugno 2008

ESCLAMAZIONI

Nel bolognese, come credo in tutti i dialetti, c’è una tale varietà di esclamazioni o modi di dire e modi d’intercalare, che la lingua non ha, benché anch’essa ne sia abbastanza ben fornita. Ho pensato spesso al motivo e credo che una così vasta gamma di coloriture e di sfumature sia una precisa caratteristica di ogni idioma solo parlato e non scritto. Quasi che la gente semplice e di scarsa cultura, quella che ha sempre parlato il dialetto, sia più incline ad usare frasi fatte o proverbi o modi di dire di quanto non lo sia chi abitualmente usa una lingua scritta, che abbia le sue belle regole. Infatti, se parliamo (naturalmente in dialetto) con un vecchio contadino, ci accorgiamo che egli ricorre spesso a frasi fatte, molto più spesso di quanto non faccia un professore di lettere, il quale è magari più propenso a fare citazioni latine!
Quella inesauribile fonte d’informazioni che è mio padre (del quale ho spesso parlato nei capitoli precedenti), usa la sua brava gamma di espressioni che, agli orecchi moderni, possono apparire quanto meno strane. Non so se si tratti di modi di dire soltanto suoi, ma non credo: credo che siano esclamazioni che a sua volta ha udito da altri e che magari oggi sono in buona parte dimenticate. Ne esaminerò solo alcune. Cominciamo dalle più ricorrenti tra tutti i bolognesi: bòia d’un mànnd lèder (boia di un mondo ladro) è quasi il simbolo di ogni bolognese. Adès at al déggh (ora te lo dico) è un modo abbastanza comune d’intercalare un discorso, e serve per sottolineare l’importanza o l’esagerazione di ciò di cui si sta parlando: lulà al ciàpa trì milión al màis ed pensiàn, adès at al déggh! Come dire "Scusa se è poco!". Ch’a s’intindàggna (tanto per intenderci) si usa quando si dice qualcosa e si esige obbedienza: i sóld ch’at ò imprestè ai vóii indrì, ch’as intindàggna! (Come dire: "onde evitare malintesi"). Al pèr l’univérs! (sembra l’universo), una frase che mio padre ha sempre usato per descrivere qualcosa di incredibile: Ai é una móccia ed zànt ch’al pèr l’univérs! (C’è una incredibile folla). Tótt i quaión! È una delle espressioni più buffe che può equivalere ad un "adesso capisco!", ma non si sa se i quaión siano delle persone imbranate o i testicoli: non lo sapremo mai! Am bèl baióch! O forse ah, un bèl baióch! Un’esclamazione ormai quasi sparita che Menarini, in un suo libro, ebbe a tradurre scherzosamente "ah, un bel soldo!" e che equivale a "te lo credo bene!".
E infine due espressioni tipiche di mio padre: e vì la mègra! (e via la magra), modo di dire multiuso, compreso il nonsenso, dove la mègra (come ebbi già modo di osservare) rappresenta o le scartine del gioco delle carte o qualcosa inerente alla coltivazione, ma, in ogni caso, nulla a che fare col significato che il bolognese intende dargli. Mio padre dice spesso (in italiano) anche "avanti coi carri!", ciò che ho sentito dire anche da altri, con lo stesso significato esortativo, ma credo che ciò venga da qualche film western! Infine (almeno per ora) l’altra strana espressione: a vóii ch’al nàiva! (capisco che possa nevicare), che non ha nulla a che vedere con le condizioni meteorologiche! In realtà è una frase che significa tutto e niente e che si usa col significato simile (ma non uguale) a "sfido io!". "Stà aténti an imbalzèret lé" "Ai vàdd ànca mé, a vóii ch’al nàiva!" ("Attento a non inciampare lì" detto a chi ci vede poco, il quale risponde "Ci vedo anch’io", sottintendendo, con quella frase, "sarò anche miope, ma non cieco!").
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Paolo Canè

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