lunedì 8 settembre 2008

LA “ESSE” RACCONTA (parte 1)

Parecchi sono i dizionari italiano-bolognese in circolazione: i più antichi sono il Ferrari, il Toni e l’Aureli (usciti tra il 1820 e il 1850), ma i più importanti sono il Coronedi-Berti (1869/74), l’Ungarelli (1901), il Bianconi, il Mainoldi e…peccato che Alberto Menarini non ne abbia voluto scrivere uno, che certamente sarebbe stato il migliore o, quanto meno, il più attuale! Ve ne sono altri più recenti, ma poco o nulla hanno aggiunto a ciò che era già stato trattato nei precedenti. Ho preso in considerazione il Mainoldi, più succinto degli altri, che dovrebbe essere il più recente, infatti la prima edizione è del 1967 (e la ristampa in mio possesso del 1996) ed ho preso in considerazione solo la lettera “S”, per esaminare una buona parte di vocaboli che qui divido in quattro categorie. Perché la “S”? Perché è l’iniziale più frequente nei vocaboli bolognesi, infatti comprende circa 1500 voci (sulle circa 8.500 dell’intera opera), delle quali ho voluto esaminarne circa un quarto che espongo qui di seguito. Il motivo di questo capitolo è quello di osservare quante siano le parole ormai disusate, quante, pur ancora valide, siano in via di lenta sparizione e quante, tipicamente petroniane, vengano usate sempre di meno, ma sarebbe il caso di salvarle…ancora per un po’! Premetto che, in questa mia stesura, ho eliminato tutti i segni del tipo “å, ^, j, ds-, ƒ,ecc.” che saranno anche utili per chi voglia conoscere esattamente le sfumature della pronuncia (pur se in molti casi la materia è molto opinabile!), ma che, come insegna Menarini, si tratta di anticaglie da rifiutare, anche allo scopo di rendere la lettura più scorrevole ed io mi attengo a lui. Vediamo.

OBSOLETI, chiamo così quei termini ancora sporadicamente usati, ma in pratica ormai abbandonati. Come l’antica “civitas rupta” romana, abbandonata dai bolognesi, fu miniera di materiali da costruzione, così questa categoria è quella dove certi falsi profeti del dialetto vanno a “ravanare” per cercare di rivitalizzare ciò che ormai dovrebbe essere sepolto e per apparire in tal modo esperti del dialetto. Una pratica che altrove ho definito “un esercézzi da pistulón”, poiché non solo riescono a darla a bere solo ai più sprovveduti, ma finiscono per usare vocaboli incomprensibili ai più e ormai spariti o sostituiti da altri più moderni.
Sàba come anche Sùghi, sono specie di marmellate che ormai non si fanno più.
Sabadàn, zoticone
Sabiàn, persona malvestita (termine simpatico, peraltro sporadicamente in uso)
Sabiunézz, sabbioso
Sacusót, scossa
Salaról, barattolo del sale, ma tutti ormai dicono Salìra
Saltabèla, orgasmo, ma oggi si dice Sverzùra, anche se non è la stessissima cosa.
Saltarèl, un tipo di verme, ma significava anche un ballo contadino.
Sàmm, sommo (stèr a sàmm= stare a galla, ma oggi tutti dicono “stèr a gàla”)
Santóc’, bigotto
Sariól, siero
Sàulfen (zolfanello), come Scuciól (berretta) spariti, ma restano i diminutivi Sulfanén e Scuciulén.
Savanèr, agitare un liquido, ma oggi al massimo si usa Saguaièr.
Sbaguté, sbigottito, oggi al massimo Sbiguté
Sbarbirè, tosato di fresco
Sbarlumèr e Slumbarzèr, vederci poco e albeggiare
Sbasucèr, sbaciucchiare
Sblécter, gente da poco (mai sentito e non sembra nemmeno bolognese!)
Sbranzughèr, brancicare
Sbucalè, risata sguaiata
Scàgn, avvizzito
Scàilter, scheletro
Scalfarót, calzerotto, ormai pienamente sostituito da Calztén (vedi dopo Sc’fón)
Scambrucén, stanzino
Scantalufè e Scaviaràn, chi ha i capelli in disordine
Scarfóiia, buccia di cipolla o aglio (vedere dopo Sgaróffla)
Scatizèr, stuzzicare
Scazói e Svanzói, avanzo, residuo (vedi anche scamplózz)
Schincadùra, botta sullo stinco
Scót, prima leggera cottura, ma sono più usati Buiót e Buiutén.
Scriturèl, scrivano
Scudrinèr, slombare
Scufièra e il più noto Scufiarén-na, modista, ma oggi si dice Mudéssta.
Scuplutèr, dare scappellotti
Scurézz, schifo, ribrezzo
Scurtadùra, scorciatoia, una delle tante parole che ormai tutti dicono in italiano.
Scùrzi, persona piccola e ridicola
Scutén-na, calore intenso
Sdurmicèr, dormicchiare
Séiì e Sónza, sego, ma oggi, oltre alle due parole è sparito anche il sego stesso! Anche
Sunzàn, unto, sudicione ha subìto la stessa sorte.
Sfóiia, sogliola, ma oggi tutti capirebbero “sfoglia”, che peraltro si dice Spóiia!
Sfrótla, frotta
Sfrùs, frodo
Sfundariàn, burrone, precipizio, ma oggi tutti capirebbero “errore linguistico” (Balàn)
Sfurbàccia, quell’insetto che ormai tutti chiamano Furbsàtta.
Sgalémber e Sghibìz, sbieco, reso più spesso con Tarquàider, Travérs, Giangón, ecc.
Sganèr, aprire una conduttura intasata, ma per tutti è Smunìr
Sgarangiót, persona sguaiata nel fisico
Sgarblè, scerpellato (parola che pochi conoscono anche in lingua!)
Sgrutèr e Slavinèr, franare, ma oggi è ormai Franèr o V’gnó zà!
Sgugiól, divertimento (parola cara ai moderni “archeologi” del dialetto!)
Sicarnén, ragazza elegante
Sicurtè, garanzia, da anni per tutti Garanzì
Simuvéss, tessuto di cotone felpato
Slàgn, floscio, parola sostituita da Sguéggn e da altre
Slavàc’, guazzo
Sludrèr, gozzovigliare
Smanvèrs, spogliarsi, oggi ormai per tutti Spuièrs, C’ftìres.
Smgnulèr, miagolare.
Smóiia, ranno: una pratica scomparsa con le lavatrici, ma allora c’era anche la parola Zindràndel, che peraltro il Mainoldi non riporta.
Smulinèrs, agitarsi
Snudadùra, articolazione, sostituita da Articolaziàn che è comprensibile a tutti.
Sófoch, aria soffocante, ma ormai si dice come in italiano Afa.
Sórta, sorta: “ed dàu sórt” è oggi sostituito da “ed dàu fàta”.
Sózer-Sózra, termini assai brutti per Suocero-Suocera, oggi detti in italiano.
Spadìr, allegare i denti, ma è più usato il verbo Lighèr.
Spaipàtt e Spinzén, piccola donna o ragazza vivace
Spampanèr, spargere qua e là, oggi Sparpaièr o Strumnèr (seminare)
Spanèr, togliere la panna dal latte (oggi ci pensa la Granarolo!)
Spardùra, aborto, oggi incomprensibile perché la gente dice Abàurd (con la “d”!)
Spartùra, madia, termine oggi sparito, come la stessa madia per il pane.
Spasegè, arcaico per passeggiata, ma oggi tutti dicono Pasegè.
Spianè, crescente, ma tutti dicono Carsànt
Spirén, lumino per la notte o del cimitero, oggi sostituito da Lumén
Spirlimpén, donna brutta e affettata (anche se il termine suona come complimento)
Spótich, dispotico
S’pteglèr, spettegolare
Spziarì, Spzièl, farmacia, farmacista, oggi Farmazì e Farmazésta
Squantéren, grande quantità (quasi antipatico come lo stucchevole Stracantàn!).
Squasàn, che fa complimenti esagerati, ma Squèsi, C’nómm, ecc. bastano.
S’rài, serraglio
Stiancàn, chi rompe tutto
Stóffel, Stuflè, fischio, fischiata, da tempo sostituiti dal diminutivo Stufilén e da Stufilè. Per “fischietto” da ricordare anche Subiól.
Strabèlz, caso, ma “ed strabèlz” è sostituito da “par chès
Stragualzèr, trangugiare
Straintànder, fraintendere
Stravànt, forte ventata, meno usato di Scaravànt
Stravultadura, distorsione che oggi si rende con Stórta
Strusciàn, Struscièr, sciupone, sciupare, espressioni ormai in naftalina, poiché si dice Strasinàn, Strasinèr, senza quella “sc-“ che è usata solo in Sc’fón e Scialèti (v. dopo).
Stùra, stuoia di cui è rimasto solo il diminutivo Sturén (Zerbino)
Sublimèt, sublimato: prodotto chimico. Spariti nome e prodotto!
Sunài, dall’espressione “di sunài!” che oggi non esiste più.
Surciót, sorso
Surzrì, sorgente, molto raro a favore del più comune Surzànt.
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(segue)
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Paolo Canè

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