martedì 28 ottobre 2008

DUBBI, AMBIGUITA’ E DIATRIBE

Nella lingua italiana, benché consolidata e confermata da grammatiche e dizionari, persistono innumerevoli dubbi o ambiguità, che sono il sale delle infinite diatribe tra linguisti e che non hanno né fine, né soluzione: il più delle volte si finisce col dire che “così è corretto, ma si può dire anche… così”! Se ci sono dubbi nella lingua, figuriamoci nei dialetti, dove, nonostante la copiosa produzione che circola, non ci sono regole, poiché nessuno è mai stato incaricato di stabilirle ed ogni scrivente si è sempre arrangiato come poteva, magari ispirandosi in linea di massima ad un Autore, come nel caso del sottoscritto. In mancanza di una regola che stabilisca l’esatta grafia di una parola (etichettando perciò come “errore” qualsiasi grafia diversa), succede che ognuno è certo della propria pronuncia (o grafia) e ritiene che siano gli altri a sbagliare. E viceversa! È il caso delle seguenti parole che io ho spesso trovato scritte in un modo, ma che più spesso ho udito pronunciarle in un altro. Interpellare la mia maggior fonte d’informazione (mio padre) è servito soltanto a confermare… i dubbi, poiché, ovviamente, lui è convinto di essere nel giusto e che siano gli altri a sbagliare, poiché non “veri” bolognesi di città! In verità tutte le persone che io ho udito in vita mia confermano il parere di mio padre, tuttavia non mi sento in grado di dire quali siano le grafie corrette ed espongo i miei dubbi. Che restano.
PAESE: alcuni “informati”, forse più millantatori che studiosi, scrivono ancora oggi “paiàis”, tuttavia io ho sempre sentito dire “paàis” cioè senza la “i” centrale.
SPETTINATO/A: i dizionari consultati e alcun i altri scritti che mi sono capitati sotto mano dicono “sgramiè”, ma io ho sempre sentito dire ”sgramgnè”, cioè con la “gn”.
ANNEGARE-ANNEGARSI: idem come sopra. Le forme che trovo scritte dicono “anghèr-anghèrs”, mentre io ho sempre sentito dire (e detto io stesso) “andghèr-andghèrs”, cioè con la “d”, che è del tutto assente nella forma tosco-italiana.
MORIRE: tra le diverse e colorite forme esistenti ce n’è una che recita: “andèr al gabariót”, però io da sempre sento dire “gabariól”, con la “l” finale e non la “t”.
DARSI DELLE ARIE: la persona, specialmente giovane donna o bambina, che si dà delle arie per come è vestita, a Bologna diciamo che “si stima”, una forma riflessiva diversa da quella della lingua, da cui “stimlén-na”, benché io abbia sentito spesso dire “stimulén-na”, italianizzato in “stimolina”. In questo caso la forma con la “u” centrale potrebbe rappresentare la ritraduzione in dialetto di “stimolina”, perciò potrebbe essere valida la prima grafia, benché io l’abbia trovata sempre solo scritta e mai pronunciata. A questo proposito, mi viene in mente una curiosa offesa del tipo “ignurànt e pò stémmet”, come dire “ignorante e poi ringrazia perché ho detto poco!”.
MI HANNO DETTO, FATTO, ECC.: due varianti, la prima delle quali è “im génn, im fénn” e la seconda, molto usata dai parlanti, “ium génn, ium fénn”, con l’aggiunta di una “u”, probabilmente eufonica. Quale sarà la forma corretta? Chi è in grado di giudicare quale sia la forma cittadina e quella campagnola o quale sia la forma più antica e quella più moderna? Io no! Io continuo ad usare le forme che ho sempre usato, senza però essere così convinto come mio padre (e come tanti altri) che siano quelle giuste! E questi sono soltanto sei esempi delle centinaia di dubbi e varianti che affliggono la grafia e la pronuncia del dialetto.
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Paolo Canè

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