martedì 11 novembre 2008

IL CORVO E L’USIGNOLO

Diatribe, antipatie e litigi tra "piccoli intellettuali" ci sono sempre stati, ma del resto anche tra intellettuali veri: basti pensare ai tempestosi rapporti tra i due grandi del Rinascimento, Leonardo e Michelangelo; al Foscolo (lui, che era di madre greca) il quale apostrofò Vincenzo Monti: "Il Monti cavaliero, gran traduttor dei traduttor d'Omero", poiché questi tradusse le opere del vate greco, senza conoscere il greco!
Basti pensare al dualismo tra Mozart e Salieri, basti pensare a Dante che ce l'aveva con tutti, o meglio, con quasi tutti, poiché qualche amico, seppur raro, l'aveva anche lui! Basti pensare alle feroci critiche di De Chirico nei confronti dei pittori astratti. Questi non sono che pochi esempi, ma potrei continuare. I motivi? Mah, sono tanti: convinzione d’essere nel giusto e pensare che siano gli altri a sbagliare, idee politiche opposte, gelosie di mestiere, questioni d’interesse, differenze di stile, antipatie "a pelle", ecc., ma forse anche e soprattutto l'insanabile conflitto tra generazioni diverse.
Scendiamo molto in basso e torniamo sulla spinosa questione del dialetto: quali parole sia lecito usare e come scriverle! Noi stiamo qui a litigare (per uno o per tutti insieme i motivi suddetti!) e non troveremo mai un accordo, poiché nessuna parte riuscirà mai (e forse non vorrà mai) convincere l'altra. È probabilmente solo una questione di generazioni diverse. In fondo le nostre voci sono come i due canti degli uccelli del titolo: il corvo gracchia sgradevolmente, mentre l'usignolo canta melodioso, ma…questo lo diciamo noi! E' probabile, se non certo, che il verso del corvo sia sgradito agli usignoli, ma che anche il canto degli usignoli sia sgradito ai corvi! A me può essere sgradito chi usa certi termini e li scrive in modo (per me!) fantasioso, ma anch'io posso risultare sgradito a loro. Chi ha ragione? Nessuno e tutti! Basterebbe pensare che NULLA resta fermo, poiché "panta rei" e perciò, come ogni generazione ha avuto la sua storia, la sua lingua e le sue regole, anche in fatto di dialetto succede la stessa casa: nell'Ottocento Carolina Coronedi Berti, Testoni, ecc. usavano certe parole e le scrivevano in un certo modo. Nel Novecento Menarini, mio padre ed io abbiamo usato (e continuiamo ad usare) le nostre parole che scriviamo con la nostra grafia (o meglio, la grafia che somiglia il più possibile a quella messa a punto da Menarini che è stato, indiscutibilmente, il maggior linguista bolognese!) e nel Duemila ci saranno giovani che useranno altre parole ancora e una nuova grafia. Stare a discutere su cosa sia giusto dire e come sia giusto scrivere, in mancanza di un Ente ufficiale che stabilisca regole, è come discutere sul sesso degli angeli: ognuno faccia come vuole, o come crede, o come gli conviene, o come è capace. La sola cosa importante sarebbe quella di "rispettare" gli altri, ognuno inquadrato nel suo tempo e nella sua cultura petroniana che ha avuto in eredità dalla sua famiglia.
Io sono nato ancora nella prima metà del Novecento e sono figlio di quel periodo, parlo il dialetto che mi hanno insegnato mia nonna e mio padre, bolognesissimi, e lo scrivo all'incirca come me lo ha insegnato il (pure bolognesissimo) Menarini.
Gli altri facciano come vogliono, ma non credano di essere nel giusto, come non lo credo io. Io sarò anche un corvo agli orecchi degli usignoli, ma non vorrei, mai e poi mai, cantare come un usignolo!
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Paolo Canè

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