venerdì 5 ottobre 2007

CATTANEO E I DIALETTI

Un articolo apparso di recente sul "Corriere della Sera", ricorda come Carlo Cattaneo, pur parlando volentieri il dialetto milanese ed ammirando le poesie di Carlo Porta, ritenesse il dialetto un’inutile anticaglia, in contrasto con l'idea di un'Italia unita dove si sarebbe dovuto parlare una unica lingua. L'articolo è, in effetti, una polemica del suo autore nei confronti della Lega che ha voluto "sottotitolare" in dialetto i nomi dei centri della Lombardia, usando cioè il dialetto come elemento di divisione, ciò che ho già avuto modo di criticare in un precedente capitolo.
E' irritante come la politica usi qualsiasi strumento, anche il più sacro (la Patria, la mamma, la pace, la lingua, ecc.), pur di portare l'acqua al proprio mulino e non si faccia scrupoli, né si vergogni!
Io credo che la posizione del Cattaneo non debba essere né osteggiata da una parte politica (la Lega) per introdurre o reintrodurre la pratica dialettale con altri subdoli scopi, né essere usata da un giornalista per controbattere tali iniziative. Cattaneo, anche se non lo dice apertamente, è molto chiaro: il dialetto è una cosa nostra, che deve restare tra noi e non deve avere altri significati, se non quello di portare avanti una tradizione, un'intimità di tutti coloro che sono nati in una certa area, mentre la lingua si riferisce ad un'area più vasta, con scopi del tutto diversi. Un secolo fa l'Italia stava nascendo e posso capire che ci fosse da parte di molti la volontà di favorire l'italiano a scapito dei dialetti, non per un rifiuto di questi ultimi, ma sopra tutto per togliere ogni dubbio dalla volontà di costruire una Nazione.
Sono passati 150 anni da allora, l'Italia è fatta (…quasi!), l'italiano è parlato (anche se male!) da tutti e credo che lo stesso Cattaneo, se vivesse ancora, non sarebbe così duro nei confronti di quel suo dialetto, che nella sua Milano sta ormai scomparendo.
Strumentalizzare anche il dialetto per fini politici è delittuoso, sia perché ogni persona di senno potrà anche pensare ad una separazione amministrativa ma non certo politica del nostro Paese, sia perché favorire una rinascita del dialetto oggi, sarebbe come voler portare alle Olimpiadi un vecchio di 90 anni!L'ho già detto e lo ripeto: amiamo questo nostro dialetto, come un vecchio malato, che ha ancora pochi anni da vivere, ma non illudiamoci che egli possa ritornare giovane, per riprendersi quella funzione che certamente ha avuto, ma che non può assolutamente avere di nuovo.
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Paolo Canè

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