martedì 13 maggio 2008

PAROLE D’UNA VOLTA

Le scrivo man mano che mi vengono in mente, tanto per non dimenticarle. Qui si tratta di espressioni che usava mia nonna (classe 1882), ma che mio padre (classe 1913) non usa più o quasi più.
Crùver al nómm (coprire il nome) sembra una frase senza senso e invece si riferisce alla tradizione di dare al neonato il nome del nonno o di un altro parente. Una pratica da anni in disuso, che però è ancora abbastanza viva al Sud. Als ciàma Andrìcco, parché i àn cuért al nómm ed só nón (si chiama Enrico perché gli hanno imposto il nome del nonno). E se magari chiedevano: al só 'd lì? (il nonno materno?) nà, al só 'd ló (no, quello paterno)!
Bandéssel! (benedicilo!). Era la parola augurale che si diceva, specialmente ad un bambino, quando starnutiva. Oggi si dice… italianamente salute! (quando si dice!). Ma è curioso il motivo: nel Medioevo si credevano tante cose strane e una di quelle riguardava appunto lo starnuto. Si pensava che con esso l’individuo dovesse espellere dal corpo gli spiriti cattivi e perciò la gente diceva "Dio ti benedica!". Forma che è rimasta nel nostro dialetto fino a ieri (e teoricamente esiste ancora), a dimostrazione ulteriore di quanto i dialetti che pure sono tramandati a voce, siano molto più conservatori della lingua scritta!
L'à détt ch'al vén talé int égli ót (ha detto che verrà verso le otto): ecco, questa è un'espressione che ricordo di aver sentito dire parecchie volte da mia nonna, ma che oggi non sento più. Non so neppure come si scriva questo talé, né esattamente cosa significhi. Posso soltanto pensare che possa significare “tra lì”, cioè “circa” (ma ci credo poco!) e potrebbe essere parola esclusivamente dialettale, come anche la solita parola italiana antica che resiste in dialetto, ma che la lingua ha ormai dimenticato.
Dio 'l fàza ch'al stiupéss! (voglia Iddio che crepi!), questa frase, detta con una espressione di odio nel viso, era il massimo della maledizione. Di qui si possono notare alcune cose: la contrazione di al resa con 'l (come già abbiamo visto prima per 'd invece di ed) e il congiuntivo del verbo “fare” che mia nonna pronunciava fàga, come tutti, ma che, solo in quest'espressione, era fàza, probabilmente la forma del bolognese più antico, rimasta nelle frasi fatte e oggi usata solo per dire "faccia, viso". Del resto anche al Sud frasi come "mannaggia" o "mannaia" significano "male ne abbia", con quel congiuntivo che però i meridionali, nel parlare, dimenticano spesso, mentre noi, che lo abbiamo ben vivo nei nostri dialetti, lo sbagliamo più raramente.
Par 'dlà da qui 'd zà ch'an i'é inción! (per di là da quelli di qua che non c'è nessuno!) era una buffa espressione di rabbia, ma con tono scherzoso. Sicuramente una mascheratura di un'esclamazione vietata dai Comandamenti, del tipo par D… con immediata "frenata" e deviazione su altra frase! Così come sórbla (sorbole) per chi ha già… in canna il noto scibboleth bolognese. Così come in italiano, a seconda delle zone, esistono le esclamazioni "cribbio" (per Cri…), "fischi" (per fi…), "cavolo" (per ca…) e in bolognese i vari bòia ed dìcoli, zìo prìt, bòia d'la mastèla, và a fèr del puntùr e piacevolezze analoghe che nascondono ben di peggio. Anche l’ormai estinto "poffarbacco" significava "può far Bacco" (cioè Dio).
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Paolo Canè

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