martedì 3 novembre 2009

LEGGENDO AL "SGNER PIREIN"

Leggendo, o meglio, rileggendo “El sgner Pirein”, ho preso nota di alcune parole ed espressioni che ora vorrei commentare. Ho già detto (troppe) altre volte quanto sia ingannevole la superata grafia antica per stabilire l’antica pronuncia del nostro dialetto: se ci dovessimo attenere alla grafia originale, potremmo pensare che 100 anni fa a Bologna si parlasse un dialetto del tutto diverso da oggi, ma non è così ed io ne sono un testimone diretto! Infatti io ho la stessa pronuncia di mio padre, il quale nacque circa quando morì Fiacchi e di mia nonna, la quale nacque quando anche il “sgner Piren” nacque e perciò, pur pensando che nei secoli il dialetto avrà mutato alcuni suoni, come qualsiasi altra lingua, credo di poter affermare che i suoni di Fiacchi, di Stecchetti, di Testoni, ecc. erano gli stessi di mia nonna, di mio padre e miei! In 100 anni sono invece cambiati molti vocaboli, nel senso che alcuni sono spariti, altri se ne stanno andando ed altri ancora sono nati, più o meno simili alla lingua, ed hanno sostituito i vecchi. L’unico, apprezzabile cambiamento avvenuto in questo secolo appena trascorso, riguarda vocaboli, modi di dire, locuzioni e quella mentalità antica, della quale ho parlato nel capitolo precedente, che era un misto di ingenuità, di idealismo, di pudore e di ottimismo che oggi non abbiamo più.
Ho preso nota di alcune parole e frasi usate da Fiacchi e, curiosamente, posso dire che solo un terzo di esse viene citato nei miei (ahimé scarsi) dizionari dialettali, che io stesso ne conoscevo già la metà e che mio padre ne conosceva due terzi! Vediamoli con la grafia originale, quella attuale tra parentesi e i miei commenti:

allujà (aluiè) probabilmente col significato di “allocato”, “posizionato”.
asà (asà) “aceto” (curiosamente femminile in bolognese!); l’espressione “t’gnìr int l’asà”, ancora molto usata, significa tenere in sospeso, sulla corda qualcuno.
àuf (esclamazione): in questo caso l’accento è quanto mai necessario, poiché se no si sarebbe indotti a metterlo sulla “u” e sarebbe un’esclamazione di stanchezza del tipo “uffa”. Invece qui siamo davanti ad espressioni tipo “àuf, chèldi!” cioè “accipicchia” o simili, esclamazione che spesso viene ridotta ad “àu”.
boschera, altra esclamazione simile, trovata nella forma “mó bóschera!” , parola di cui non ho trovato spiegazione, se non una somiglianza col toscano “buschera” (frottola) e “Buscherata!” esclamazione del dr. Balanzone di Salvatore Muzzi.
bosst (bósst): “èser in bósst ed màndga” ormai poco usato per “maniche di camicia”.
buijda (buiót): è una “bollita”, qui usata nell’espressione comica di “èser (un fùrb) ed sèt cót e una buiìda” (essere un furbo di sette cotte…e una bollita!).
cantaran (cantaràn) era un tipo di mobile, che probabilmente esiste ancora con altro nome, ma non lo trovo da nessuna parte se non nella memoria di mio padre!
daila (dàila), voce del verbo dare, usata nell’espressione “…e dàila”, “…e té dàila!” simile al toscano “… e dàlli!” quando qualcuno non la finisce più!
erversa (arvérsa) : rovescio. Ricordo che i vecchi usavano spesso la “e” per alcune parole con l’inizio in “a” (lo stesso Fiacchi chiama “Ergìa” l’Argìa e “él” al posto di “al” per l’articolo “il”). Del resto i vecchi dicevano anche “Evròpa” per “Europa” e i ferraresi pronunciano il mio nome “Pèolo”!
dsgrazia (g’gràzia) : disgrazia, parola usata spesso anche in italo-bolognese, sia per definire una persona noiosa, sia nella volgare espressione “al bùs dal sèt g’gràzi” (la vagina), ma in questo caso, nell’ancora usatissimo “an vóii savàir ed g’gràzi” cioè “non voglio avere (ulteriori) noie”.
gnexa (gnéggsa) è la lettera “x”, parola ormai in disuso e nota a pochi che una volta valeva “bazzecola”, ma anche usata al posto di “zìzla” (affare complicato).
inurcè (inurcè) parola ormai scomparsa, usata nella locuzione “stèr inurcè” (oggi si usa “stèr in uràccia”) che valeva “stèr in squàlla”, stare sul “chi vive”.
lutén (lót), Fiacchi usa questo strano diminutivo, ormai sconosciuto, per “lotto”
oc (óc’): occhio. L’espressione “al càssta un óc’ d’la tèsta” (è carissimo) si dice ora come allora, ma “Pirén” si chiede ingenuamente “dove altro sono gli occhi?”
ov (óv) “l’é tótt óv e zóccher” quando una persona è eccessivamente gentile o una cosa è facile da fare e non credo che la stessa espressione esista in italiano
pèisa (pàissa) nella grafia antica era omografo di “pesa” (pesare), nella mia grafia le due voci sono diverse (pàisa e pàissa) e la funzione della doppia “s” è proprio quella di evidenziare la “s” aspra. “Pèisa sobit a ca” o, come diciamo ancora oggi scacciando un cane “Pàissa vì!” che è il toscano “Passa via!”.
parè (parè) “an i fàgh brìsa la parè” (non ci faccio la parata!) cioè “non ce la faccio” “non ci riesco” ancora in uso soprattutto tra gli anziani.
pgnuchè (p’gnuchè) questa… “pignoccata” potrebbe esere l’omonima torta toscana di pigmoli. Fiacchi dice “culàur d’una pgnuchè”…
piular (piulèr) omonimo di “zighèr” (piangere) un verbo che usava già G.C. Croce nel ‘500, che mio padre ricorda, ma che nessuno ormai dice più, nemmeno lui! Se non ricordo male, c’era un verbo analogo nell’antica lingua provenzale.
quartir e quartiren (quartìr/quartirén) era il toscano “appartamento/-ino”, ma nel bolognese di oggi sopravvive col solo significato di “quartiere”.
raif (ràif): refe. Usato nella frase “al raif da cuser”, ma oggi chi usa più tale parola?
scadagnon (scadagnón): “qualcuno”, forse da “ciascheduno”, ma è parola omai in disuso ed è materiale per i…tombaroli del dialetto!
scantalufer (scantalufèr): scarmigliare. Esattamente idem come sopra!
scavzari (scav’zarì) “una gràn scav’zarì ed gàmb”: paura, tremarella alle gambe
specc (spécc’) “spicciolo”, ma anche “libero, disimpegnato” come in italiano. Usato qui nella forma ancor viva “a sàn bèle spécc’”(mi sono già reso libero) e anche nel detto”avàiren pùch di spécc’ e mànch di baratè” (essere diretto e pratico)
starleina (starlén-na): “pasèr la nót in starlén-na” significa passare la notte in bianco
strel (strèl): stelle. “A vàdd el strèl”, come in italiano, vale “sentire molto dolore”
terra cattù (taracatù) è l’antico nome della “sumiclézzia” (liquirizia), forse dal nome di una marca commerciale, ma non saprei dire.
tira (tìra) “una tìra ed pàn” per alcuni dizionari è una “serie di pani cotti insieme”
uccla (uclè) ormai scomparso per “canzonatura” in uso secoli fa.
vessti (véssti): vischio, dice Fiacchi, ma i dizionari e mio padre dicono “vésschi”!

Paolo Canè

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