giovedì 1 luglio 2010

BARI, BARA, BARO, GIOCHI E TRUCCHI

Non esistono in dialetto le prime tre parole, non sempre con lo stesso significato.
Bari è esclusivamente il capoluogo della Puglia che noi chiamiamo esattamente allo stesso modo dell’italiano ed è l’unica parola di questa serie con uguale grafia, pronuncia e significato esclusivo.
Bara è la càsa da mórt che è l’unica definizione dialettale. Esistono altre parole come catafèlch e catalèt (quest’ultima ormai in disuso), ma si tratta di cose diverse; bàra ha anche il significato di “barra”(con una sola “r” canonica) il cui plurale è bàr.
Baro, cioè colui che imbroglia al gioco, non esiste proprio e,per definire un individuo del genere, noi diciamo “ón ch’al fà d’i balutén” (in italo bolognese “uno che fa dei balotini”). E’ una parola, a quanto mi risulta, soltanto nostra e non ne conosco l’etimologia: ci sarebbe un’eventualità,ed è solo una mia supposizione, ma è un po’… tirata per i capelli. Più che alle “ballotte”, castagne bollite che noi chiamiamo balùs (balògi!), balutén potrebbe essere collegato all’altra parola italo-toscana “balocco”, in questo caso”gioco, giochetto, trucco”. Sempre per restare nel campo della fantasia, un altro collegamento si potrebbe fare con bàla, non nel significato di “compagnia”, ma nell’altro di “bugia, frottola, imbroglio”. Ma ripeto: sono solo mie fantasie da notte insonne! Abbiamo altri termini per definire il baro: imbruiàn, baluitinèr, ecc., ma nessuna collegata o simile all’italiano “baro”.
Trucco, invece, è una strana parola multiuso: trócch ha due significati uguali alla lingua, il trucco di prestigiatori, maghi e imbroglioni (col suo diminutivo trucàtt) e il “maquillage” delle signore. Poi c’è un terzo significato, solo bolognese, di “pezzo, trancio, porzione” di qualcosa, di carne, di burro, di cioccolata o altro, il cui diminutivo, in questo caso, non sarà più trucàtt, ma trucadén. Nemmeno di questa accezione nostrana ho idea sulla provenienza e non mi viene in mente nessuna parola italiana, germanica o francese che possa somigliare a trócch, a parte il francese “tranche” (trancio) analogo come significato,ma che ha poco in comune con la grafia.
Gioco, sempre in materia di trucchi e giochetti, in dialetto fa zùgh. In verità, nel XVI secolo, quando il persicetano Mitelli inventò il “Gioco dell’Oca” lo chiamò zuogh, e questo mi fa pensare che a quel tempo si dicesse veramente così, similmente alla voce singolare del toscano “giuoco”, voce singolare che forse col tempo è sparita, lasciando solo il plurale zùgh che infatti oggi è invariata: un zùgh, dù zùgh! Una voce che usiamo per il calcio (al zugh dal fotbàl), per il lotto (al zùgh dal lót) e anche per qualsiasi altro gioco, ma NON per dire “giocattolo”, ciò che a differenza dell’italiano non si chiamerà anche “gioco” e ancor meno col toscano “balocco”, ma solo zuglén.
Infatti per dire che i bambini fanno i giochi, diciamo i ragazù i fàn i zuglén e non certo i zùgh, perché altrimenti sarebbero giochi di prestigio o altri simili!
E qui attenzione ad una sfumatura tanto piccola che potrebbe sfuggire a che non è bolognese verace: se diciamo fèr i zuglén, intendiamo “giocare di bambini” (ma anche di adulti, se sono erotici!), ma se diciamo fèr d’i zuglén (col partitivo), intendiamo fare dei giochetti e anche fabbricare dei giocattoli. Infatti la “fabbrica di giocattoli” si chiama “la fàbrica d’i zuglén”.

Paolo Canè

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