giovedì 27 settembre 2007

MAGARI E MAGARA

Il mio amico tedesco Peter (si legge come si scrive e non “Piter” all’inglese) fu, in gioventù, ospite a casa mia per quattro mesi e così imparò l’italiano. Mi diceva che, per lui, la più bella parola della nostra lingua era “magari”, una parola che gli suonava bene, che lo rendeva felice, forse per l’assonanza con l’esotico “safari”, forse perché inconsciamente ne percepiva l’etimologia. Infatti “magari” deriva dal greco “makàri”, questo a sua volta da “makàrie”, voce derivata da “makàris” che significa “felice, beato, fortunato”. È una parola, in qualche modo, magica, perché, oltre al suono affascinante rilevato da Peter, ha molti significati: dall’originario “te beato”, a “Dio volesse”, fino alle tante sfumature che si colgono nelle espressioni “chiederò magari a Tizio”, “verrò magari domani”, ecc. Una parola che, molto probabilmente, ci viene dal Sud bizantino della nostra penisola, insieme alla forma “macara”, voce peraltro simile al siciliano “macari” di oggi (che significa “anche”) .Ed è probabilmente dalla Sicilia che, a partire dal XIII secolo (Cielo d’Alcamo e altri), si è diffusa dappertutto, essendo poi stata usata da Dante, Jacopone da Todi, ecc. Nel dialetto romanesco e un po’ in tutta l’Italia centrale è diffusa la forma “magara”, forma presente anche nel bolognese, ma credo che la loro sia “figlia” del “macara” antico, mentre la nostra potrebbe avere tutt’altra origine.
Si tratta di una mia supposizione, poiché non viene riportata né dal Devoto, né dal Cortelazzo, né da altre fonti etimologiche, ma ho notato che in dialetto noi abbiamo entrambe le forme “magàri” e “magàra”. La prima ha lo stesso identico significato dell’italiano (Dio lo voglia, ecc.), la seconda invece ha il preciso significato di “molto”, “troppo”. Infatti è famosa la frase “la famàiia di magàra” che si applica ad una famiglia molto numerosa o ad una combriccola i cui membri sono un po’ troppi!
Si dice anche “ai n’ò magàra” col significato di “ne ho tanti”, parola che ha anche il suo bravo diminutivo “magarén-na”, che significa…”un po’ moltini!”.
Questo “magàra” bolognese (e forse presente anche in altri dialetti settentrionali), potrebbe (dico “potrebbe”!) essere parente di “guari”, parola italiana ormai in disuso che ha pure il significato di “molto, alquanto, tanto”: nota è la forma antiquata “or non è guari” che significa “non molto tempo fa”, ecc.
“Guari” deriva sicuramente dal francone “waigaro” (forse antenato dell’inglese “very”) che pure significa “molto”, ad ulteriore dimostrazione che tutte o quasi tutte le parole dell’antico tedesco che iniziano per “wa” o “wi” o “we”, in italiano fanno “gu” o “ghi”, tanto per fare qualche esempio: Walter, William, Wastal, Wiedergeld, Werra, Weiblingen, ecc., fanno rispettivamente Gualtiero, Guglielmo, Guastalla, Guidrigildo, Guerra, Ghibellino, ecc.
Il bolognese “magàra” non inizia per “gu”, forse per l’incrocio con “magari” o forse, più semplicemente, perché… non deriva affatto da “waigaro”!
Tuttavia è sospetto il significato identico, sia della parola tedesca, che di quella bolognese, le quali non hanno nulla a che vedere col greco!
E poi a me piace pensare così ed illudermi di aver fatto una scoperta, hai visto mai?
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Paolo Canè

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