lunedì 14 aprile 2008

RIME IN PILLOLE (pagina 4)

A proposito del nostro "sócc’mel" (l'iniqua parola!) viene ricordato un verso di Lorenzo Stecchetti, in risposta al "Pianto della Chiesa bolognese senza pastore":

Ma il suo pianto non posa e n'ha ben donde
poi che il barbaro Padre alle preghiere
con l’iniqua parola, ahimé, risponde!

Ancora in materia di etimologie bislacche (il nome di Bononia, verrebbe da… bona omnia!), ecco cosa ebbe a scrivere nel 1574 Nicolas Audebert, l'umanista francese ospite nella nostra città per due anni e mezzo, forse ispirato ad un poemetto dell’Achillini del 1513:

Felsina senza "fel", Bologna antiqua,
ditta è Bononia, che ogni cosa ha buona

Il Tassoni nella Secchia Rapita, ispirandosi al famoso verso di Dante, scrive:

Quante ne fa tra l'una e l'altra rippa
Gherardo allor su l’Popolo del sippa.

Già nel Cinquecento il Pelladuro (al pladùr) era il luogo dove si "pelavano i maiali" e, col significato di "fare chiasso" ecco una brevissima "zirudèla" del Cardinale Mezzofanti, peraltro specializzato anche in componimenti brevissimi:

Zì Rodela fè pladur
Cuntadìn, Garzon, Arzdur
Siè pur Felsina più bèla
Tic e daj la Zè Rodela.


Un'antica filastrocca raccontata ai bambini, quando i genitori li facevano ballare sulle ginocchia e non li parcheggiavano ancora davanti alla TV:

Tróta, tróta Pìr Balóta,
trì furmài e una ricóta,
un paról ed taiadèl,
da rimpìr el sàu budèl,
trì furmài e un furmaién,
tróta, tróta cavalén.


E una maliziosa tiritera che veniva recitata il giorno di San Luca:

Incù l'é al dé ed San Lócca,
chi à i marón si plócca
e chi an i à brìsa, as plócca la camìsa.
-
Paolo Canè

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