mercoledì 25 marzo 2009

L’ULTIMO MENESTRELLO

Fausto Carpani, classe 1946, è l’ultimo, vero menestrello bolognese e spero proprio che sia l’ultimo nel senso di “the latest” e non “the last”! Il più grande che abbiamo avuto prima di lui, in questo stesso genere, è stato Quinto Ferrari, del quale Carpani (che poteva essere comodamente suo figlio, se non suo nipote!) è grande estimatore e degno successore. Altri hanno cantato in dialetto: Dino Sarti (ahimé recentemente scomparso), Andrea Mingardi (che lo ha fatto solo per un breve periodo), un altro giovanotto, del quale non ho mai saputo il nome,che cantava ancora con Ferrari, specialmente all’Eremo di Casalecchio (ma questi era solo una copia di Quinto, poiché cantava soltanto le sue canzoni) e chissà quanti altri, ma nessuno di questi ha avuto la statura di Ferrari o di Carlo Musi. Ebbene, Carpani ha questa statura ed è il vero e solo erede di questi due grandi cantastorie bolognesi; il passato remoto parla di Giulio Cesare Croce e altri, ma non essendoci registrazioni, è difficile fare confronti!
Il mio primo “incontro” con Fausto, non fui dei più felici! Me ne parlò, almeno cinque anni fa, Romano Pignatti, il quale mi fece pervenire una copia del giornaletto “Al pànt d’la Biànnda” e, sia questo ponte che tutti i personaggi citati, erano per me tanti illustri sconosciuti. La cosa che mi piacque di più fu la “zirudella” centrale (guarda caso, proprio di Carpani!) oltre ai disegni di Sgarzi. Per il resto … la cosa che mi colpì di più fu la grafia, complicata e poco leggibile. Non era una novità, in quanto già usata in passato da molti altri autori, tra i quali il Mainoldi, ma…in passato! Negli anni recenti, infatti, il grande Alberto Menarini aveva già messo in naftalina tutti quegli (inutili) accenti ed aveva messo a punto una grafia semplice, moderna e facile da leggere. Fu perciò abbastanza logico che un menariniano come me, alla vista di quella grafia, ricevesse come un pugno nello stomaco! In seguito poi ci ripensai e valutai le cose sotto una luce diversa: non esistono regole, pertanto nessuno può dire di fare bene, ma nemmeno che gli altri facciano male! Perciò ognuno scriva come vuole (come è sempre stato) e se qualcuno pensa di dover seguire Menarini, lo faccia, se altri non sono d’accordo, facciano diversamente.
Sul problema della grafia ci sarebbe da discutere molto: anche ammettendo che la grafia adottata da Carpani sia sì complicata, ma diretta ad ottenere la corretta pronuncia, chi stabilisce “quale” sia la corretta pronuncia? Si dice “pèder” o “pèdar”? Si dice “pàmpa” o “pòmpa”? Si dice “ambràusa” e “masnadùr” o “amrausa” e “masadùr”? Si dice “cumpagnì” o “cunpagnì”? Tutte versioni che si odono ogni giorno, ascoltando i bolognesi. E poi quali accenti? Quali apostrofi? Insomma: chi si sente in grado di stabilirlo con sicurezza si faccia avanti!
Detto questo, ognuno faccia come crede e…torniamo a parlare di Fausto Carpani!
Dopo questo non felicissimo incontro (ma lui non era sicuramente responsabile della mia “sacra ira”!), lo incontrai almeno un paio di volte alla “Festa della Campagna” organizzata alla Maddalena di Cazzano. In quelle occasioni ebbi modo di cominciare ad apprezzare le sue non comuni doti di cantante e di chitarrista. In seguito, quando seppi che tutte le sue canzoni erano scritte (parole e musica) da lui stesso, l’apprezzai ancora di più per la sua sensibilità, per le sue conoscenze e per il suo estro poetico.
Le cose che mi piacciono di lui sono tante: canta con voce chiara e forte, ben modulata e bene intonata; anche se non è un virtuoso chitarrista, si fa tutta una serie di accompagnamenti diversi, efficaci e bene eseguiti; le sue canzoni sono a volte dolci, a volte nostalgiche, a volte di una comicità esilarante e, lo ripeto, tutto quanto è di sua produzione; è uno studioso della nostra storia, in quanto ha fatto molte canzoni (in italiano) che celebrano i fatti storici più salienti specie della Bologna medievale (e questo, a quanto mi risulta, è una sua esclusiva caratteristica);ha scritto molte canzoni per celebrare personaggi famosi (Padre Marella, Quinto Ferrari, ecc.) e questo è un suo grande merito; conoscendolo di persona, ho avuto modo di vedere che non si dà affatto delle arie, che è persona affabile e cordiale, insomma è una di quelle rare persone che è bello conoscere e frequentare.
Che cosa non mi piace di lui? Difficile dirlo e tuttavia è ben poco. Della strana grafia dialettale, che lui ha adottato, ho già detto: avrei preferito che anche lui fosse stato un seguace di Menarini. La sua pronuncia è quasi perfetta. Perché “quasi”? Perché è inequivocabilmente bolognese, in quanto abita in città da quando, dice lui stesso, aveva 6-7 anni, tuttavia ogni tanto affiorano piccole differenze dovute alla sua origine non cittadina: piccolezze trascurabili, le quali però colpiscono l’orecchio di chi ha sempre vissuto qui, a contatto quotidiano con parenti e amici di qui. Sono qua e là presenti alcuni italianismi che anticipano forse il dialetto di domani, ma dato che i termini dialettali sono ancora vivi, tanto varrebbe usarli; per contro sarebbe il caso di evitare qualche termine obsoleto! Non parlo delle inevitabili “licenze poetiche”, cioè piccole differenze che hanno lo scopo di fare quadrare metro e rima. Lui dice di essere apolitico, ma non è così, anche perché gli ambienti che frequenta e che ha sempre frequentato hanno una ben precisa collocazione politica e religiosa e queste cose affiorano qua e là nelle sue canzoni, il che non è un gran male, ma è un lieve disturbo per gli ascoltatori che la pensano diversamente. Talvolta le sue “cante” (come ama chiamarle lui) sono piene di una retorica anche troppo facile, ma bisogna capire anche al tipo di pubblico al quale esse sono dirette ed anche che, se un idealista non è leggermente utopistico, che idealista sarebbe? Ma sono tutte piccolezze, mentre il suo vero difetto è quello di…non volersi bene! La sua non è finta modestia (se così fosse, sarebbe anche comprensibile), ma è vera modestia e ciò è grave, poiché (come lui stesso dice del protagonista di una sua canzone) lui è un poeta e non lo sa! Lui ama gabellarsi come “il postino della Beverara” e avrà anche fatto il postino, ma è un uomo di buona cultura, che si esprime anche in italiano con ottima proprietà di linguaggio e con dotte citazioni. È un poeta che si esprime in dialetto e si accompagna con la chitarra, un poeta che ama circondarsi di amici per suonare con loro, un poeta che celebra la sua Bologna, la sua storia, il suo dialetto, i suoi personaggi.
Peccato che difficilmente lo possano capire fuori dall’Emilia.
Peccato che di ”postini” così non ce ne siano più!
-
Paolo Canè

Nessun commento: