venerdì 12 ottobre 2007
AL GÀT VIAZADÀUR (n. 92)
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 14:51:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
Proverbio n. 139
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 14:50:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
Proverbio n. 138
Fèr la pàira a quàich’dón.
Turlupinare qualcuno.
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 14:49:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
UN PATRIMONIO PERDUTO
Paolo Canè
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 14:46:00 0 commenti
Argomento: Dialetto
giovedì 11 ottobre 2007
LA SCUSA (n. 91)
Tótt i dé Pirén l'à una scùsa nóva pr'arivèr in ritèrd a scóla.
"Alàura Pirén che scùsa èt incù?"
"Sgnàura màstra, ai ò purtè la vàca al tòr".
"Bàn? An al p'sèva brìsa fèr tó pèder?"
"Sè, mó l'é dimóndi méii al tòr!"
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 16:51:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
I PIRENEI (n. 90)
"Bàbbo, dùvv'éni i Pirenei?"
"Sòia bàn mé: d'màndel a tó mèder ch'l'é lì ch'l'ardàppia sàmpr'incósa!"
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 16:49:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
Proverbio n. 137
Fèr l'amàur con la surèla d'la màn stànca.
Masturbarsi.
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 16:48:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
Proverbio n. 136
Fèr di sdùz.
Abortire.
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 16:47:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
IL DIALETTO BOLOGNESE
a) perché mi piace, mi diverto e così trascorro quest'inutile tempo da pensionato, con la piacevole sensazione di occuparmi di qualcosa per cui valga la pena scrivere.
Più ci si addentra in una materia e più, non solo ci si sente ignoranti, ma sorgono dubbi anche su ciò che poco prima sembrava chiaro e semplice. Una modesta cultura non ha questi problemi: prendo ad esempio una persona che amo ed alla quale devo in gran parte la pratica dell'uso dialettale: mio padre. Egli è intimamente convinto di sapere tutto in fatto di dialetto, di parlare l'unico dialetto possibile e di conoscere ogni parola ed ogni espressione dialettale esistente! A volte mi trovo a discutere con lui su parole che hanno un ben preciso significato, citato da dizionari e da studiosi eminenti, e lui, convinto che tutti costoro si siano ingannati, continua a sostenere la sua tesi.
Non si può parlare d'un qualunque argomento senza prima avere assimilato ciò che altri hanno studiato, senza conoscere le molte altre materie che tale argomento hanno influenzato, condizionato e determinato. Così è anche e soprattutto per quanto riguarda il dialetto. Parlarlo, capirlo anche bene non è sufficiente: chi lo parla da sempre, poiché l'ha imparato ad orecchio, è praticamente un analfabeta! E' come parlare una lingua senza saperla scrivere, senza sapere nulla di storia, di geografia, di qualsiasi altra materia inerente: è come parlare al buio! Molti credono alle favole: credono che gli antichi parlassero latino, poi un bel giorno, chissà come e perché, si siano messi tutti a parlare italiano e che il dialetto sia, in qualche modo, una corruzione della lingua, senza minimamente pensare che tutto si è trasformato lentamente, che il dialetto è il risultato di tale trasformazione e che la lingua è invece una convenzione creata artificialmente e molto più tardi; senza pensare che tale processo è comune a tutti i luoghi d'Italia, d'Europa e del mondo; senza pensare che non esistono parole "misteriose" o "esclusive" di un dialetto, ma che ognuna di queste ha una ragione di essere e che molte sono imparentate tra di loro, anche se a prima vista non lo sembrano affatto; senza pensare che non esistono materie avulse da quella realtà che, invece, le trova tutte collegate tra di loro.
Lo studio del dialetto, come dell'onomastica, dell'etimologia e di qualsiasi altra materia che studi le cose di un passato che ci ha lasciato solo pochi e controversi documenti, è un campo estremamente difficile, nel quale occorre andare cauti, poiché, come tante volte ho detto, niente o molto poco è ciò che sembra a prima vista. E sono caduti in errore anche molti esimi studiosi (questo non lo dico io, ma certi loro colleghi che li hanno presi in castagna!), anche perché gli studi vanno sempre avanti e ogni nuovo apporto si aggiunge a quanto già enunciato, oltre al fatto che spesso lo corregge, quando addirittura non lo sovverte. Per questi motivi (e per altri) occorre sempre fare molta attenzione a ciò che si dice ed affrontare gli argomenti con umiltà e con serietà: io primo fra tutti! Fatto questo lungo preambolo (e non è certo la prima volta, ancorché ci sarebbe tanto altro da dire!), vediamo di fare ulteriore chiarezza: la lingua italiana è uguale da Merano a Pantelleria, si scrive nello stesso modo, ha le stesse regole e si pronuncia allo stesso modo, a parte gli accenti dovuti ai diversi retaggi dialettali locali. È, come ho detto, una convenzione nata alla fine del Medio Evo per motivi di necessità pratica, che si è sviluppata nei secoli con gli apporti di poeti e scrittori d'ogni parte d'Italia, che ha ormai le sue regole fissate e che tuttavia continua a svilupparsi lentamente. I dialetti restano unicamente parlati ed ogni tentativo di scriverli è arbitrario e comunque non ufficiale, anche se c'è stato qualcuno che ha messo a punto un metodo preciso e quasi perfetto, come Alberto Menarini fece per il bolognese. Anche in questo caso però si tratta di parere soggettivo che non è condiviso da tutti, sopra tutto per due motivi:
a) perché nessuno ha mai stabilito che il metodo Menarini sia quello giusto.
Esistono invece i "gruppi dialettali" come li enuncia il Devoto e come, da Dante in poi, altri avevano già individuati. Nel nostro caso si parla di dialetti "emiliano-romagnoli" addirittura e noi tutti sappiamo bene che differenza passi tra il dialetto bolognese ed il romagnolo ed anche tra il bolognese ed il modenese, il ferrarese, il piacentino e così via! Questo gruppo fa parte degli idiomi "gallo-italici", distinzione ancora più larga che ci differenzia dalle regioni del Centro e del Sud, ma che comprende anche i dialetti piemontesi, lombardi e liguri. Dunque possiamo parlare solo in generale, partendo dal grande raggruppamento dei "gallo-italici" (così detti per l'influenza che ebbe la lunga dominazione gallica che andò circa dal V° al III° secolo a.C., influenza che dura tuttora), per limitarci poi al gruppo "emiliano-romagnolo" che è già ben definito e costituisce una base valida di studio. Difficile è restringere ancora il campo, poiché, se è vero che ogni città ha il suo dialetto, è anche vero che ogni paese ha il proprio e ci si perderebbe in un dedalo infinito d’idiomi, i quali, negli spazi ristretti, si mescolano e s'influenzano fino a diventare difficilmente distinguibili. E diciamo anche che ad aumentare questa "babele" contribuisce la diffusa immigrazione e la scarsa confidenza con parlate che stanno scomparendo.Un tempo lo stesso dialetto parlato entro le mura di Bologna conosceva diverse varianti a seconda dei quartieri (i borghi), tuttavia era abbastanza omogeneo, anche perché quasi tutti i parlanti erano nati in città e lo usavano al posto di un italiano che conoscevano poco o nulla.
Pertanto, a chi cerca di parlare e di scrivere il bolognese d'oggi, consiglio di dimenticare parole ed espressioni ormai obsolete che appartengono al passato, di evitare la grafia inesatta che pure è stata largamente usata da scrittori e poeti del passato (magari adottando quella "menariniana" che è molto più svelta e precisa), ma sopra tutto invito a parlare coloro che il dialetto lo hanno sempre parlato (non coloro che lo hanno "scoperto" di recente!) ed a scrivere coloro che hanno studiato i tanti testi in circolazione in modo da sapere ciò che scrivono! Ne uscirà un bolognese che non è più quello di un tempo, ma che è più o meno quello che si parla oggi.
Torniamo al gruppo "emiliano-romagnolo": che cosa unisce questi dialetti e li divide da quelli degli altri gruppi? E' un discorso lungo e difficile. Il grande linguista Giacomo Devoto (vedi "I dialetti delle regioni d'Italia" di Devoto e Giacomelli- Ed. Bompiani 1971) ne dà una spiegazione precisa, esauriente e…complicata, come è uso di tutti i linguisti.
Osservazioni affascinanti del Devoto, col quale (mi si perdoni l'eresia!) non sono del tutto d'accordo su una: egli afferma che il termine "topo" (in bolognese "pàndg") è "un fatto isolato nell'ambito dei dialetti italiani" e che "probabilmente è d'origine bizantina". A me pare invece che derivi dal greco "póntikos" che a sua volta ha originato l'italiano "pantegana" (topo di fogna) e il termine dialettale "pantecana" che ha lo stesso significato nei dialetti meridionali, come il calabrese, nelle zone della Magna Grecia, e pertanto è un caso tutt'altro che isolato, ma… sicuramente ha ragione lui! Del resto è più probabile che i bolognesi abbiano preso questo termine dai bizantini, vista la vicinanza di Ravenna, dato che i bizantini parlavano greco! Lo ripeto: attenzione, cautela e rispetto, poiché quasi nulla, in fatto d’etimologia, è quello che sembra! Sono questi piccoli, ma significativi esempi, a dimostrare che il solo fatto di parlare un dialetto non significa conoscerlo. Ci sono dei motivi storici in seguito ai quali ci si spiegano "strane" parentele (l'influenza dei Galli) e ci sono motivi geografici i quali spiegano perché due Regioni come Toscana ed Emilia-Romagna parlino dialetti così diversi (l'asperità dell'Appennino) ed ancora altri motivi contingenti che rendono simili le parlate di zone lontane tra di loro, ma unite da millenni dalla Via Emilia che ha facilitato contatti, spostamenti ed invasioni. Storia e geografia ci spiegano perché i paesi del Centro-Sud si siano ritirati dalla costa (invasioni saracene), perché certi paesi montani mantengano particolari caratteristiche (isolamento e mancanza di strade), perché alcune città siano più ricche di monumenti d'altre (le Signorie, più o meno potenti). Insomma, per affrontare seriamente uno studio su qualsiasi cosa riguardi il passato, occorre sapere un po' di tutto e considerare un po' di tutto. Nulla nasce per caso e nulla è mai completamente isolato, anche perché, oltre alle tante cose che sono state scoperte e che sappiamo, ce ne sono altre non ancora scoperte (e che forse non scopriremo mai) le quali potrebbero darci ulteriori e preziose spiegazioni, rivoluzionando magari vecchie e solide teorie. Ci si potrebbe chiedere perché, nell'ambito dei dialetti gallo-italici, ci siano così sensibili differenze e i motivi potrebbero essere tanti. Innanzitutto è probabile che diverse tribù galliche parlassero diversi idiomi e poi ciò potrebbe dipendere sia da una differenziata penetrazione o periodo di permanenza dell'invasore su un dato territorio, sia da una diversa influenza su quel territorio del latino o di altre parlate preesistenti o successive.
I motivi possono essere tanti, certo che, in ambiti sociali ristretti, come tribù o piccoli villaggi, è probabile che la parlata di uno solo o di pochi individui abbia potuto influenzare l'ambiente: vi siete mai chiesti come mai la stragrande maggioranza degli abitanti delle province di Piacenza e Parma abbiano la "erre" moscia? Che il primo abitante di quelle zone avesse un difetto di pronuncia e che gli altri lo abbiano imitato è un'idea buffa, ma non da escludere!
Paolo Canè
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 16:36:00 0 commenti
Argomento: Dialetto
mercoledì 10 ottobre 2007
AL VOCABOLÈRI (n. 89)
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:56:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
AL P’SCADÀUR ORIGINÈL (n. 88)
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:55:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
AI ZARDINÉTT (n. 87)
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:50:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
LA BANDÌGA (n. 86)
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:47:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
AL CÀMP DI NUDÉSTA (n. 85)
In st'mànter ch'al travérsa la pinéta, l'incàntra una mèder ch'la s'achén-na par tór in bràz al só ragazól e, davànti a ch'al spetàquel ed cùl, al drézza!
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:37:00 0 commenti
Argomento: Barzlatt
LE "BALLE" DI BOLOGNA
Balle laiche
BOLOGNA E BOLSENA: luoghi diversi e distanti eppure un po' "parenti"! Infatti, come Felsina(poi la Bononia gallo-latina) era certamente il centro dell'Etruria Padana, così Velzna (poi la Volsinii novi latina), secondo recenti studi pare fosse il centro, e non solo geografico, dell'Etruria Toscana. E penso: Velzna, Felsna, Felsina, che non ci sia un nesso tra due nomi così simili e forse originariamente uguali? Non sono affatto un etruscologo, ma mi piace crederlo. Eppure qualcuno si è inventato una improbabile famiglia reale etrusca con Fero, Felsina ed Aposa: padre, madre e figlia!
PRESEPE: ho sempre sentito dire che l'ha "inventato" San Francesco (il quale predicò a Bologna nel XIII sec. tra la commozione dei presenti) e spero che ci si riferisca alla rappresentazione della Natività con le statuine, perché un primo Presepe con bue, asinello e bambino si può ammirare al Museo Bizantino e Cristiano di Atene e risale al IV/V secolo, cioè ad almeno 800 anni prima!
FREGNACCE: giusto così si possono definire quelle raccontate da un certo Fregni, modenese (nome ad hoc) e riportate dal Menarini. Secondo lui l'Asinelli trarrebbe questo nome dal fatto che è "alta e snella" (A.SNE.) e così Modena, per il fatto che mura e Ghirlandina le conferivano l'aspetto di una nave, era fatta a "mo' de nave" (MO.DE.NA.). Menarini si chiede se fosse un gran fesso o un gran mattacchione che ci prende ancora in giro dopo due secoli!
AMORI CONTRASTATI: dell'immaginario collettivo popolare, evidentemente fa parte la storiella dei giovani innamorati, ma figli di famiglie rivali. Storie che sono molto tenere, ma che inevitabilmente finiscono nel sangue. La più popolare è quella di Giulietta e Romeo, non perché sia stata vera, ma perché la cantò Shakespeare. Ogni città, ogni paese ha la sua storia analoga. Bologna ne ha avute almeno due, la più nota delle quali riguarda Alberto Carbonesi di famiglia ghibellina e Virginia Galluzzi di famiglia guelfa. L’altra riguarda Imelda Lambertazzi e Bonifazio Geremei (una famiglia ghibellina, l’altra guelfa): solita storia, solito finale e… solita frottola!
LA GIOCONDA BOLOGNESE: si sa che nel 1515 Leonardo, al seguito di Leone X, fu ospite a Bologna dei ricchi banchieri Felicini, nel loro palazzo di Via Galliera.
FUGA PER LA VITTORIA: che non è un film, ma un fatto che mi riporta a Re Enzo, sul quale sono state dette montagne di frottole sia in Italia che in Germania, dove credevano che fosse legato da catene d'oro. Si disse che suo padre ne chiese "lungamente" la liberazione, offrendo un filo d'oro che abbracciava l'intera città, ma Federico morì meno di un anno dopo e forse non ebbe tanto tempo per simili offerte.
UN BARBABLU' NOSTRANO: era un membro della famiglia Boccadiferro, nel cui castello di Serravalle si diceva vagassero di notte, non uno, ma la bellezza di dodici fantasmi! Sarebbero state le 12 mogli che egli avrebbe ucciso ad una ad una: una bella costanza, ma soprattutto, un bel traffico notturno!
FANTASIE DI LATINISTI: analogamente al caso di Galliera, qualcuno suppose che il nome di Via Saragozza, fosse la storpiatura di "Cesareaugusta", nome delle terme romane che erano da quelle parti. Altri dissero che la strada fu così chiamata in onore del cardinale di Albornoz, ritenuto nativo dell'omonima città spagnola: sarebbe anche plausibile, se non fossero attestati una "strata et burgus Saragocie" già nel XII sec.!
LE TRE FRECCE: tutti hanno creduto per anni che quelle conficcate sotto il portico ligneo di Casa Isolani in Strada Maggiore, fossero testimoni di chissà quale attentato o scaramuccia medievale, finché, nel corso di un restauro, si appurò che era uno scherzo degli studenti, quando la goliardia era ancora viva.
LEBBROSI E SIFILITICI: i primi erano obbligati a soggiornare nei lazzaretti (anche dietro pagamento di una diaria), i quali venivano costruiti a est della città (ad esempio San Lazzaro) poiché si credeva che il vento da ovest portasse via le epidemie e non sapevano che, come oggi, le epidemie… vengono tutte da est (Cina)! I secondi, frutto delle conquiste (si fa per dire) degli spagnoli in America, venivano curati, anzi "purgati" nell'ospedale di San Giobbe, da cui, pare, Via del Purgatorio.
LA TORRE ASINELLI: altro oggetto di un monte di frottole, come lo fu il povero Re Enzo. Chi parlò di file di asini o muli che portavano la selenite da Monte Donato. Chi parlò di un poveraccio che trovò un tesoro col quale fece costruire la torre per ottenere la mano della sua bella. Chi disse addirittura che essa spuntò dal suolo in una sola notte per opera del Demonio. Insomma, a nessuno venne in mente di pensare che una famiglia Asinelli (Pietro Asinelli si chiamava l'amico di re Enzo) l'avesse fatta costruire. C'è anche chi dice che fu la torre a dare il nome alla famiglia e non il contrario, ma noi, disincantati posteri, crediamo alla versione che una potente famiglia si fosse fatta costruire questo incredibile monumento che ci stupisce ancora.
BALLE MODERNE: si racconta che l'8 giugno 1921, quando morì Augusto Righi, fu trovato un fitto documento, scritto dal grande scienziato la sera precedente, che parlava della teoria della relatività. Allora Einstein aveva 42 anni e forse aveva già enunciato la sua teoria. Del resto non c'è da meravigliarsi, poiché, quando i tempi sono maturi, la stessa scoperta può arrivare da più parti contemporaneamente. Vedi la storia di Meucci e Bell, ma anche di un mio lontano parente, considerato in vita un pazzo genialoide, poiché si disse che nel suo baule fu trovato un carteggio che parlava di una strana "carrozza senza cavalli". Tutti esempi che confermano che il genio umano, ma anche la fantasia, sono sempre al lavoro. E così pure riguardo al "Resto del… Carlino", il cui titolo originale riportava proprio i puntini d'interiezione. Molti credono alla vecchia storia del resto del sigaro (cent.10-8=2), ma esisteva già in Toscana un foglio che si chiamava "Il resto del sigaro". La verità è (e i puntini lo confermano) che si voleva fare la fronda agli avvenimenti del tempo, similmente a quando si promette a qualcuno un sacco di botte: "Vén qué ch'at dàgh al rèst!"
Balle religiose
Lungi da me voler essere blasfemo, ma ce ne sono alcune veramente fantasiose e ne cito solo poche. Io parlo di Bologna, ma queste "balle" venivano raccontate (e in parte ancora si raccontano) in tutta Italia, in tutto il mondo, come in una sorta di gioco perverso, nel quale una "autorità" (per non dover dare troppe spiegazioni) si inventa una frottola e il popolo la beve (per non doversi fare troppe domande).
SAN PETRONIO: cominciamo con quest'importante personaggio (vescovo dal 431/32 al 450, forse milanese e non orientale come vuole la leggenda), del quale un monaco benedettino scrisse la storia (tra il 1160 e il 1180), secondo la quale sarebbe stato proprio lui a fare costruire la chiesa di S.Stefano. E' evidentemente una frottola, poiché è difficile pensare che un ignoto monachello, magari digiuno di archeologia e di dati storici (anche se pieno di fede) possa aver accertato un fatto del genere la bellezza di sette secoli dopo! Più recenti studi, infatti, indicano che la costruzione del tempio avvenne molti secoli dopo la morte del Santo. Ma Santo Stefano, certo una delle più antiche ed affascinanti chiese di Bologna, ha dato la stura ad un sacco di frottole, come quella del Catino di Pilato (del quale ho già detto), costruito quasi un millennio dopo il giorno in cui egli si lavò le mani.
SAN LUCA: l'icona della Madonna, molto venerata in città, l'avrebbe portata al collo un pellegrino greco che andava vagando per le strade di Roma alla ricerca del Colle della Guardia (visto che là dei colli ce n'erano tanti!), giurando che l'autore era niente meno che l'Evangelista. Portato a Bologna da un senatore, trovò il colle e concluse così il suo pellegrinaggio. Storia improbabile, ma sempre più credibile di quella della Madonna di Loreto: là hanno voluto esagerare, poiché non l'immagine, ma l'intera chiesa sarebbe arrivata in volo dall'Oriente! E poi l'inevitabile miracolo: anno 1433, a Bologna piove da tre mesi, la campagna marcisce e, improvvisamente, spunta il sole. Da quel giorno la Madonna di S.Luca viene portata regolarmente in processione in città e non solo eccezionalmente com'era già accaduto una prima volta nel 1302.
LA MADONNA RILUTTANTE: quella di Via degli Angeli che decisero un giorno di trasferire in S.Pietro, ma i portatori cominciarono a traballare e a cadere a terra accecati. La riportarono subito indietro, i portatori riacquistarono la vista.
BARACCANO: altro luogo di leggende. Un giorno un soldato colpì la Madonna con la lancia e cadde morto. Un altro giorno il muro costruito a protezione dell'immagine veniva continuamente costruito e continuamente cadeva. Un altro ancora (nel 1511), quando 30.000 soldati papalini assediavano la città in quel punto, la grossa muraglia fu fatta saltare con una mina: saltò sì, ma tornò a ricomporsi esattamente com'era prima! I soldati si ritirarono e forse pensarono: "Ma che tipo di calce usano questi bolognesi?".
CALURA ESTIVA: il Cristo di Via del Cestello fu visto sudare copiosamente e in seguito prendere fuoco, ma a quei tempi la gente beveva molto.
VOLA COLOMBA: nel 1116 Picciola Galluzzi fece costruire la chiesa di Madonna del Monte all'Osservanza, dopo che una colomba in volo ne segnò il perimetro: più economico che assumere un geometra.
LACRIME: di queste se ne sente parlare ancora oggi e ovunque. Anche noi abbiamo avuto la nostra storia, quando la Madonna del Pianto, nella chiesa di Sant'Isaia, fu vista lacrimare per la peste del 1630. Non credano i napoletani d'avere l'esclusiva!
MADONNA TUTTOFARE: sempre per il gusto di voler vedere per forza qualcosa di soprannaturale nelle cose normali, si disse che la Madonna (poi denominata "della Pioggia") di Via Riva Reno, prima scongiurò terribili siccità come quelle del 1561, 1642 e 1660, poi fu anche invocata per allontanare l'invasione dei Turchi in Europa.
UN AUTORE TIMIDO era probabilmente il pittore che fece la Madonna della Rondine, nella via omonima, poiché, anziché ammettere d'esserne l'autore, si andò ad inventare che essa fu trovata in cima ad un altissimo pioppo, dove appunto volavano le rondini! Forse non era soddisfatto dell'opera!
UNA MANNAIA…COMMESTIBILE: forse per esorcizzare la fame che i bolognesi hanno dovuto patire in quegli anni,si disse che un dipinto del XVII secolo, raffigurato di fronte alla chiesetta dello Spirito Santo e che rappresentava il Volto Santo, ebbe il potere di salvare in extremis un condannato a morte, poiché la mannaia del boia diventò tenera come il burro. Praticamente una mannaia commestibile paragonata al burro: paragonarla ad un piatto di tagliatelle sarebbe stato troppo!
LA TRISTE STORIA DELLA BADESSA: questa leggenda, più volte ricordata in diversi testi e con versioni abbastanza uniformi, è forse la più bella di tutte quelle che si raccontano dalle nostre parti, anche se non avvenne propriamente a Bologna, ma ad Ozzano, dove ancora oggi si festeggia annualmente la "Sagra della Badessa". Una storia bella perché unisce misticità, amore e mistero. In poche parole un cavaliere bolognese che vagava sui calanchi nei pressi di Settefonti, vide la Beata Lucia, al di là di una grata, che pregava nel suo convento e se ne innamorò. Tornò spesso a guardarla in silenzio, finché un brutto giorno, non trovandola più, si decise, per la disperazione, ad arruolarsi per le Crociate. In Terrasanta fu fatto prigioniero e in cella sognò Lucia che lo esortava a tornare. Tornò, ma seppe che era morta e i ceppi ai quali era incatenato si possono ancora vedere in una chiesa di Ozzano. Perché mistero? Perché Settefonti è un luogo magico e misterioso, un luogo che parla alla nostra anima e questo è il vero miracolo inspiegabile: andateci e vedrete!
I MIRACOLI SONO FINITI! "Facciamo il possibile e l'impossibile. Per i miracoli ci stiamo attrezzando", questo è il cartello esposto in diversi negozi o uffici da parte di vari spiritosi gestori. Sembra però che in questo mondo materialista, disincantato e non più religioso come un tempo, i miracoli non avvengano più. Ne è un esempio la chiesa della Madonna del Soccorso, il Viale Masini, che fu completamente rasa al suolo da un bombardamento nel 1944. A terra rimasero solo briciole, tranne la stessa immagine della Madonna che uscì intatta da quel disastro.
Mi fermo qui con le "balle" e le leggende. Forse sono io che non credo a nulla, ma a volte penso che se la gente ricominciasse a credere come una volta, forse le cose andrebbero meglio. Una volta erano tutti allegri e non avevano una lira in tasca, mentre oggi che tutti hanno di tutto, vedere per strada un sorriso, incontrare qualcuno che è felice è veramente un…MIRACOLO!
Paolo Canè
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:20:00 0 commenti
Argomento: Storia di Bologna
Proverbio n. 135
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:19:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
Proverbio n. 134
Fèr al strunzlén.
Partorire il primo figlio.
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:17:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
Proverbio n. 133
Fèr al strànz pió grànd dal bùs.
Fare il passo più lungo della gamba.
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:17:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali
Proverbio n. 132
Èser strà l'Óca e i Marón.
Due località di Bologna!
Pubblicato da Riccardo G. alle ore 17:10:00 0 commenti
Argomento: Proverbi triviali