mercoledì 11 luglio 2007

PIZÓN

Ai praticanti del dialetto, questa parola (piccioni) porta subito alla mente la nota canzone della "Fìra ed San Làzar" ("Ai ò cumprè du bì pizón, cumm'i éren bì, cumm'i éren bón") oltre all'epiteto "pizàn" che alcuni usano per dare a qualcuno dello sprovveduto, del minchione e al termine di "pizàn viazadàur" per chi è sempre in giro, per tacere della "mérda ed pizàn" consigliata come concime per i baffetti degli adolescenti.
Pochi però sanno che la versione dialettale del famoso detto italiano "prendere due piccioni con una fava" è "ciapèr du pizón con una grèna" e non "con una fèva"! E, a proposito di questo animale oggi poco simpatico, poiché infestante e portatore di malattie, ma un tempo diffuso, allevato (le belle piccionaie di alcune ville, il tiro al piccione ora proibito) e sopra tutto mangiato, posso citare un paio di curiosità: non esiste oggi in bolognese la parola corrispondente di "colombo", né della parola "tortora" ed anche i diffusi cognomi di Colombo e Tortora vengono sempre pronunciati in italiano, come del resto tutti o quasi tutti i cognomi non bolognesi.
Di "tortora" esiste solo il diminutivo "turturén-na", come di "colombo", ma solo se si tratta dell'antica maschera veneziana della Commedia dell'Arte "Culumbén-na". I termini "clàmb" (raro) e l'eventuale "tàurtra", oltre che essere orrendi, non si usano, anche se alcuni sprovveduti ed improvvisati parlanti di simili mostri pseudo dialettali ne producono parecchi, quando non ne vanno a rispolverare di vecchi ed obsoleti!
Il nostro dialetto, a differenza della lingua, presenta spesso situazioni analoghe, per cui certe parole non esistono (e vengono pronunciate in italiano) oppure esistono, ma presentano eccezioni grafiche e fonetiche: ho già fatto in passato alcuni esempi e…ne farò ancora se mi verranno in mente. Un esempio: la Camera del Lavoro che viene pronunciata sempre in italiano, nonostante che esistano, ben vivi, i termini "stànzia" e "lavurìr", ma solo un pazzo potrebbe dire "La Stànzia dal Lavurìr", ciò che tuttavia rappresenterebbe una normale camera nella quale qualcuno lavora!
E così anche il Senato che nessuno mai chiamerebbe il "Senè" e la Camera dei Deputati, la cui prima parte resterebbe "Camera", mentre al massimo la seconda parte sarebbe tradotta con "di Deputè", ma la "Stànzia di Deputè" potrebbe essere solo la camera dove essi dormono. Curioso, finché siamo in tema, è il Governo che sia chiama "Guéren", mentre il verbo derivato "governare" si dice oggi "governèr"; esiste un antico e disusato "guarnèr" (riferito soprattutto alle mucche) e sarebbe forse corretto usarlo nel senso di governare un popolo, ma evidentemente esso è stato "dimenticato" e così è nato il più recente "governèr" sulla falsariga dell'italiano.
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Paolo Canè

LA TELEVISIÀN 1 (n. 40)

- Màma, guèrdet à la televisiàn stasìra?
- Gnànch pr'insónni: ai é ch'al tedàsch ch'am fà d'vintèr màta!
- Nà, màma: in televisiàn ai é Derrick, al tedàsch ch'at fà d'vintèr màta als ciàma Alzheimer!

LA FÈSTA D’LA MÀMA (n. 39)

Un ragàza la dìs a só mèder:

"Màma, t'i sàmper qué in cà a fèr gnìnta, mó parché t'an ciàm al tàu amìghi e a fè dàu ciàcher?"
"Mó ché mó ché, l'é tróp difézzil".
"Cùssa i él ed difézzil? A pàns a incósa mé, at càmper la róba e at urganézz la giurnèta: al dàu ti dè da bàvver al cafà, al zénqv al tè con i biscùt, al sèt ti dè l'aperitìv a pò t'a li mànd a cà, mó intànt av pasè un dé difarànt da chi èter!"

Quànd l'arìva al dé, la fióla la dà a só mèder egli ùltmi istruziàn e pò la và vì. Sóbbit dàpp i arìvén egli amìghi. Al dàu la mèder la pànsa:

"Dànca cus'èla détt mi fióla? Ah sé, al cafà!" E la prepèra al cafà.
Al zénqv: "Cus’èla pur détt? Ah sé, al cafà!" E la prepèra un èter cafà.
Al sèt: "Dànca i én al sèt…ah, al cafà!" E la fà al térz cafà.
Int l'andèr zà par la schèla un'amìga la dìs a un'ètra: "Sóccia però l'Argìa, l'an s'à gnànch ufért al cafà!"

Quànd la tàurna la fióla la d'mànda: "Alàura, màma?"
"Alàura cósa?"
"Cum'éla andè col tàu amìghi?"
"Eh, in én mégga v'gnó!"

I PADRONI DI BOLOGNA

Evidentemente Bologna ha rappresentato per molti la città dell'Eldorado, a giudicare dal numero di "padroni" e "padroncini" che hanno fatto di tutto per conquistarla.
A partire dalla preistoria, diversi invasori l'hanno tenuta per secoli, ma anche per pochi anni ed è curioso l'elenco che segue, poiché nessuno (nemmeno io prima di farlo) ha idea di quanti siano stati nel corso di quasi tre millenni! Alcuni "padroni" sono arrivati e poi se ne sono andati senza più farsi vedere, altri sono andati e tornati diverse volte, come se questo fosse un passeggio pubblico e non una città! Ma non è tutto: alcuni "padroncini" hanno fatto il bello ed il cattivo tempo per conto o durante la permanenza dei "padroni". Insomma, ognuno ha cercato di fare i propri comodi, di arraffare quanta più ricchezza possibile e di spadroneggiare il più possibile. Alla fine ci si rende conto che gli anni di "libertà" (ad onta di quel "libertas" che campeggia da secoli nello stemma cittadino), sono stati veramente pochi. Anni durante i quali i bolognesi si sono potuti governare da soli o hanno potuto far parte di uno Stato superiore, contenti di farvi parte, come nel Regno prima e nella Repubblica poi. Dopo l'esaltante età Comunale, penso che proprio questo (dal 1945) sia il più lungo periodo di pace, libertà e democrazia di cui Bologna abbia mai goduto, a parte qualche "piagnone" e qualche terrorista: due categorie che non ci siamo mai fatti mancare!
Vediamoli tutti (salvo errori ed omissioni), escludendo il periodo "villanoviano" che alcuni intendono come proto etrusco, altri dividono addirittura in quattro fasi ed io, molto più modestamente, escludo dal mio elenco, considerando quei popoli come i primi, veri indigeni: i primi bolognesi autoctoni, proprio come gli indiani d'America!

1) VII-VI sec. a.C. gli Etruschi
2) IV sec. a.C. i Galli Boi
3) 189 a.C. i Romani
4) 402 i Visigoti di Alarico (prima invasione: l'Impero romano agli sgoccioli, poi di passaggio, gli Unni di Attila nel 452)
5) dal 460 al 493 gli Eruli di Odoacre, ex guardia imperiale.
6) dal 493 al 526 gli Ostrogoti di Teodorico
7) dal 526 al 727 i Bizantini dell'Esarca di Ravenna
8) dal 727 al 774 i Longobardi di Liutprando (dal 568 rimasti fuori dalle mura)
9) 774 i Franchi di Carlomagno che poi consegna Bologna ai Papi
10) 902 saccheggiata ed incendiata dagli Ungari
11) dal 1116-1123 Libero Comune, ma sempre con il Legato papale
12) 1162-63 gli imperiali del Barbarossa
13) 1227 i Guelfi al potere riconsegnano la città ai Papi
14) 1282 Rolandino de' Passeggeri, magistrato e dittatore
15) dal 1327 al 1334 Bertrando del Poggetto, cardinale francese e dittatore
16) dal 1334 al 1354 i Pepoli, i primi Signori bolognesi
17) dal 1355 al 1360 Giovanni da Oleggio per i Visconti milanesi e per se stesso
18) 1360-1376 il cardinale spagnolo di Albornoz. Dal 1390 ancora i Papi!
19) dal 1398 al 1399 Carlo Zambeccari, signore bolognese per un anno
20) dal 1401 al 1402 Giovanni I Bentivoglio, signore bolognese per un anno 58
21) 1402 ritorno dei Visconti
22) 1403 l'antipapa Giovanni XXIII, Baldassarre Cossa, napoletano
23) 1420 ritorno dei Bentivoglio con Annibale I
24) dal 1420 al 1429 i Canetoli, signori bolognesi
25) dal 1435 al 1438 Antongaleazzo Bentivoglio
26) dal 1438 al 1443 Niccolò Piccinino per i Visconti
27) dal 1443 al 1445 ritorno di Annibale I Bentivoglio
28) dal 1445 al 1462 Sante Bentivoglio
29) dal 1462 al 1506 Giovanni II Bentivoglio
30) dal 1506 al 1511 ritorno dei Papi con Giulio II
31) 1512 ritorno dei Bentivoglio con Annibale II per poco tempo, poi ancora i Papi durante un lungo periodo bolognese cosiddetto "senza storia"
32) dal 1566 al 1597 il cardinale Paleotti per i Papi e per se stesso
33) dal 1796 al 1815 Napoleone Bonaparte, imperatore francese
34) dal 1816 al 1831 ancora i Papi con Pio VII
35) 1831 tre mesi di libertà con le Provincie Unite
36) dal 1831 al 1859 ancora Papi con due parentesi degli Austriaci
37) dal 1860 al 1921 i Savoia piemontesi di Vitt.Emanuele II- Regno d'Italia
38) dal 1921 al 1945 Benito Mussolini, dittatore romagnolo e fascista
39) dal 1945 al 2005 (e spero che continui!) la Repubblica Italiana, finalmente!

Non sono tutte invasioni e non sono tutte vere e proprie dominazioni, però credo che 39 alternanze al potere in 2700 anni circa (una ogni 70 anni in media!) bastino e avanzino! E magari ho tralasciato qualche altra fugace presa di potere.
Così a memoria avrei detto che fossero molte di meno, dato che alcuni ritengono il potere dei Papi "ininterrotto" dal 774 al 1859, ma evidentemente… è stato interrotto!39 alternanze che diventano 41 se aggiungiamo i due periodi degli Austriaci e 42, se si aggiunge il biennio '43-'45, nel quale i nazisti di Hitler hanno avuto il sopravvento.
Così, ad occhio e croce, si potrebbe dire che in totale Bologna non è arrivata a 400 anni di libertà (il 15%), se includiamo anche il grigio periodo "senza storia".
Ma gli anni di "vera pace" forse non superano i 250, di cui 60 sono questi ultimi (per Bologna e per l'Italia, poiché il Mondo ha vissutro 60 anni di guerra fredda e calda!)
Non c'è stata sempre la guerra vera e propria, ma, considerando le guerre e i lunghi periodi di pace "blindata" e comunque di sofferenza, credo che la "pace vera" (quella di oggi, per intenderci) sia stata una specie di anomalia, un’eccezione, mentre la guerra, gli ammazzamenti, le prepotenze, gli stupri, gli omicidi e le ruberie hanno costituito la regola, come scrive saggiamente anche Tiziano Costa!
Situazione non soltanto bolognese, ma direi di tutta l'Italia, di tutto il Mondo, da sempre. Accettare ed avallare, in qualche modo, questa terribile realtà è certamente sbagliato, ma invocare la "pace" continuamente, insistentemente, aprioristicamente come spesso accade, è una (pur bella) utopia.
Non bisogna smettere di combattere e di crederci, ma bisogna tenerne conto: proprio questo è uno dei grandi insegnamenti che la Storia fornisce…a chi la sa leggere!
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Paolo Canè

Il verde di Bologna

Non c'è molto verde a Bologna, ovvero, ce ne dovrebbe essere tanto di più e per fortuna che qualcuno, un secolo fa, pensò di creare il "Passeggio Regina Margherita": un polmone indispensabile, con varie strade all'interno, nessuna delle quali intitolata a Cesare Pezzoli che nel 1924, con la sua "Flèvia", ne ha immortalata la memoria!Dopo di allora solo alcuni privati hanno pensato al loro giardino, ma per il resto si è verificata quella cementificazione selvaggia, che peraltro affligge diverse altre città.
Sì, qualche asfittico giardinetto, qua e là, ma poche aiuole, pochi fiori e, soprattutto, pochi alberi. I recenti piani regolatori hanno vietato costruzioni sulle colline dei dintorni e questo è stato anche un bene, ma sarebbe stato più intelligente concedere qualche permesso, a patto che si fosse costruita una casa in non meno di 10.000 metri quadrati e piantati alberi su non meno del 75% dello spazio! Ma evidentemente i bolognesi non amano il verde, il quale scarseggia anche nei semafori, visto che alla loro sincronizzazione e alla costruzione di parcheggi, si è sempre preferita la comoda e redditizia via delle multe e dei divieti di circolazione! Gli esempi di distruzione delle aree verdi si sprecano: il PEEP Fossolo fu costruito proprio nel luogo in cui c'era il rigoglioso Vivaio Ansaloni, ammassando tonnellate di cemento e lasciando pochissimi degli alberi esistenti. A Ponte Rizzoli è stato costruito un agglomerato di case, proprio dove c'era un folto noceto, solitario in mezzo a chilometri quadrati di spoglia campagna. La stessa cosa è stata fatta in Via Colunga a San Lazzaro ed in innumerevoli altre località. Il verde che c'è lungo i fiumi è lasciato nel più squallido abbandono e nei nuovi quartieri nessuno si preoccupa di lasciare ampi spazi pubblici e alberati a disposizione dei cittadini: le piste ciclabili, quelle sì che si fanno, forse perché quasi nessuno va più in bicicletta e perciò sono assolutamente inutili!
Pochi mesi fa ho dovuto assistere a due fatti, a pochi metri da casa, che mi hanno fatto male uno e rabbia l'altro. I miei vicini hanno abbattuto un albero cinquantenne, solo perché…le sue foglie cadevano sul tetto della casa e il Comune ha dato loro il permesso. Quello stesso Comune che ha mandato i vigili a contestare una casetta-garage (peraltro bella e ben fatta da un altro vicino)poiché, secondo loro, non a norma.Lungo i viali della circonvallazione sussistono ancora almeno un paio di caserme che sarebbe stato bene trasferire in periferia, insieme alla stazione ferroviaria, non solo perché in caso di guerra non avrebbero bombardato la città, ma soprattutto perché al loro posto si sarebbero potuti utilizzare i pochi fabbricati ad uso privato o pubblico e i rimanenti grandi spazi sarebbero potuti diventare importanti polmoni di verde. Ma in questa società non c'è posto per ciò che non rende e i giardini sono utilissimi alla gente, ma non rendono un solo euro alle casse comunali!
Se proprio qualcuno volesse sfogare l'odio per gli alberi, si potrebbero abbattere tutti quelli (peraltro malaticci) dei viali di circonvallazione e, al loro posto, creare 8 Km. di parcheggio intorno alle vecchie mura, in modo da rendere completamente pedonale l'area entro le medesime, ma dando la possibilità a tutti di parcheggiare molto vicino.
Nella Bologna medievale le cose non erano così, non tanto perché i nostri avi fossero più intelligenti di noi (e per molti versi lo erano!), quanto perché non avevano le automobili, intorno alla città c'erano ampi spazi boschivi, e anche per loro necessità.
Infatti, in assenza di supermercati e in presenza di non pochi assedi, la gente coltivava frutta e verdura dentro la città (oltre che allevare galline, maiali ed ogni altro genere commestibile). Guardando dall'alto la Bologna di oggi, sembra assurdo, ma un tempo dentro le mura c'era quasi più verde che case! Lo testimoniano i nomi di molte vie: Nosadella (noci), Frassinago (frassini), Pratello (peri), Ca' Selvatica, i vari Vinazzi (uva), le Braine (prati), i Brogli (orti racchiusi da alberi) ecc.
Se si fosse mantenuta questa politica, Bologna sarebbe oggi verde come Londra e comunque avremmo molto inquinamento di meno e respireremmo meglio, oltre a dare un lavoro come giardinieri a molti disoccupati! Si pagherebbero volentieri più tasse in una città dove le cose funzionano e invece qui paghiamo l'ICI più alta d'Italia per avere gli stessi disservizi di una città dove questa tassa è di 20 volte inferiore.
Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che, fino al '500, a causa dell'aumento della cittadinanza e del persistere della paura di essere attaccati dai nemici, i nostri avi abbiano man mano occupato gli spazi verdi dentro le mura a favore di nuove case, ma non è così: il vizio di non creare spazi verdi e di non piantare alberi è rimasto!
Infatti non importa andare molto indietro nel tempo: mio padre ricorda ancora quando la Via Marchetti, nella primissima periferia, dove non si trova ormai neppure un metro quadrato d'erba, era la stradina ghiaiosa d'accesso a Villa Hercolani. In una foto del 1929 si possono vedere i miei genitori, allora fidanzati, in posa sulla Via Laura Bassi, con ampi spazi verdi alle spalle. Io stesso ricordo ancora la campagna e il contadino col quale confinava la casa dove sono nato e dove ora non c'è una sola aiuola, un solo albero, un anche piccolo spazio pubblico per fare giocare i bambini.
Avanti di questo passo e dovremo portare i nostri nipoti a 50 Km. da Bologna, per mostrare loro come sia fatto un albero, peraltro già oggi li dobbiamo portare lì per fare vedere loro che le galline non nascono spennate come al supermercato e che le mucche non sono viola come in TV!
Esistono alcune stampe del '600 dove si vede una Bologna, oltre che ricca di canali e di porti, piena di alberelli meticolosamente disegnati. Lo spazio della Montagnola, il cui giardino fu voluto da Napoleone (che evidentemente non era solo un ladro, ma anche uomo di larghe vedute), è ora in un penoso abbandono, mentre potrebbe essere un bel giardino elegante e ben frequentato, invece che ricoperto di feci umane, come io stesso ho visto, specialmente intorno al monumento di Piazza VIII Agosto!
E io credo che la Bologna di oggi non potrebbe, ma dovrebbe presentarsi meglio! Dovrebbe mostrare case curate, strade pulite, giardini alberati. Posso capire i mendicanti e la sporcizia in una città medievale, ma oggi zingari, clandestini e barboni sono intollerabili: occorrerebbe assegnare loro alloggi modesti, ma umani, obbligarli a lavorare o sbatterli fuori da una comunità, la nostra, che ha sempre saputo amministrasi bene, ha sempre saputo mantenere un certo ordine (vedi i parecchi bandi di qualche secolo fa), tranne che dal 1901 in poi! Da quando cioè è stata assalita dai picconi e dalle manie di voler "rendere la città moderna".
Se questo è il risultato, complimenti!
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Paolo Canè

Proverbio n. 70

Avàir pió cùl che ànma.
Essere molto fortunato.

Proverbio n. 69

Avàir musghé (magnè) al tàtt a só mèder.
Colui al quale non ne va bene una.

Proverbio n. 68

Avàir méss la purzèla in gràsa.
Avere la moglie incinta.

Proverbio n. 67

Avàir l’usèl in sverzùra.
L’esatto contrario dei proverbi 65 e 66!

Proverbio n. 66

Avàir l’usèl bazóch.
Inerzia sessuale…a metà!

lunedì 9 luglio 2007

L’ÀRAB (n. 38)

Ón al dìs con un amìgh:

"Pànsa té, una nót a Casablanca ai éra par la strè da par mé, quànd a sént scarpazèr de drì da mé: am vólt e a vàdd un arab èlt quèsi dù méter ch'am tnèva drì. Alàura am sàn méss a andèr pió fórt e ló drì, am sàn méss a córrer e ló sàmper drì. A un zért mumànt a svólt int una stradlén-na e, quànd a arìv in fànd, am acórz ch'l'éra asrè. Am sàn vultè e l'àrab am éra bèle adòs: al s'avré al stanlàn e al tiré fóra un afèri ch'al parèva un matarèl.
Par furtón-na ch'am l'à cazè int al cùl, parché s'am'al dèva in tèsta am cupèva!"

AL FATURÉN DAL FARMAZÉSTA (n. 37)

Un farmazésta al ciàma al faturén e ai dìs:
"Cìnno, ai ò d'andèr vi pr'un'àura, stà té drì al bànch, tànt t'sè bèle incósa ormài"
"Chal vàga pùr, ai pàns mé".

Dàpp un'àura:
"Alàura, cùmm'it andè?"
"Benéssum, almànch a cràdd".
"Parché? Chi é v'gnó?"
"Prémma l'é v'gnó un sgnàuri ch'l'avèva mèl à la tèsta: ai ò dè un casè, òia fàt bàn?"
"T'è fàt benéssum, e pò?"
"E pò l'é arivè un v'ciàtt ch'l'éra un póch stéttich: ai ò dè un purgànt, òia fàt bàn?"
"T'è fàt benéssum, e pò?"
"Ecco, dàpp l'é arivè una sgnàura tótta elegànta con una bèla plézza, la l'à avérta e sàtta l'éra tótta nùda e l'à m'à détt: "Vàddet quàssta qué? Bàn, l'é bèle trì àn ch'l'an vàdd un càz!"
"Alàura?"
"Alàura an sò brìsa s'ai ò fàt bàn, mó ai ò dè dal colìrio!"

LA ZÌZLA (n. 34)

"La màstra la l'à con mé" al dìs Pirén a só pèder "L'am fa sàmper del d'mànd difézzil"
"Mó nà, Pirén, l'é una tó idèa"
"A sé? Alàura vén mò a scóla a sénter egli interogaziàn che d'màn ai é i esàm!"

Al dé dàpp al pèder al và a scóla e al sént el d'mànd che la màstra la fa a só fiól:
"Pierino, quanto fa due più due?"
E ló "Quattro".
"Bravo e quanto fa quattro più quattro?"
Pirén al dà un ucè a só pèder, ai pànsa un pó e pò al dìs: "Otto".
"Bravissimo. Adesso dimmi quanto fa otto più otto".
Pirén as vólta vérs só pèder e al dìs: "O bàbbo, sént mò qué che zìzla!"

Proverbio n. 65

Avàir l’óca mórta.
Inerzia sessuale maschile.

Proverbio n. 64

Avàir la pózza (la càca) sàtta al nès (Che càca, sgnàur Felìz!).
Dicesi di chi è altezzoso e di chi si dà delle arie.

Proverbio n. 63

Avàir la fàza da cùl.
Avere una faccia rubiconda!

Proverbio n. 62

Avàir la cagarèla int la làngua (int la pànna).
Essere troppo loquaci (o grafomani).

Proverbio n. 61

Avàir la bàcca lèrga ch’la pèr la fìga d’na sumàra.
Essere un grande chiacchierone.

I s'fón

Forse, piuttosto che s’fón, dovrei scrivere sc’fón, poiché il suono di questa parola (ormai in disuso) è praticamente uguale alla -sc italiana più che alla nostra semplice, seppur pesante, -s.
E' questo un termine che ho sentito usare da mio padre, spesso in tono scherzoso come generalmente si fa con parole del gergo, da pochi altri vecchi bolognesi e che ho trovato di recente sul citato articolo della signora Nobili, ma che non è mai stato riportato né dal Menarini, né dai dizionari in mio possesso, né da altri autori del nostro dialetto. Però credo d'aver trovato il corrispondente italiano, usato ancora 4 secoli fa, nel bel libro della prof.ssa Niccoli, sulla "Bologna del seicento". La parola è "scoffoni" (oggi sconosciuta anche ai dizionari italiani) e sono quasi certo che essa sia la…antenata in lingua di sc’fón, sia perché essa giustifica la -sc del termine dialettale, sia, soprattutto, per il significato che era quello di "calzerotti" (poi "calzini", "calzettoni" in generale) che a quei tempi erano parte importante di ogni corredo ed erano anche ciò che oggi definiremmo "articoli da regalo".
Ebbene, prendo questa parola in rappresentanza del dialetto bolognese che non si parla più e che sarebbe assolutamente inutile e falso voler ripristinare nella parlata di oggi! La si può usare per la rima in -ón di una filastrocca, la si può usare per scherzo, con quell'ironia con la quale ogni persona, anche di buona cultura e non necessariamente bolognese, cita ogni tanto termini del proprio dialetto, la si può studiare e classificare (come sto facendo io adesso!) nell'ambito di uno studio sulle parole in disuso, ma chi vuole parlare seriamente dialetto nel 2000 (ma anche dal 1950 in poi) deve usare "calztén"!
Ribadisco pertanto l'inutilità, ma soprattutto la falsità di voler usare termini ormai scomparsi in un contesto moderno. Del resto, la necessità di non fare confusioni temporali è irrinunciabile per ogni argomento: se vogliamo studiare, ma soprattutto capire, la storia, la politica e qualsiasi altra disciplina,se vogliamo capire il perché dei fatti, il perché dei modi, in quei luoghi e in quei momenti, dobbiamo necessariamente inquadrarli nel loro tempo ed esaminare tutto ciò che accadeva intorno negli stessi momenti! Solo così ci potremo spiegare, solo così potremo capire le cose. Il resto è pura fantasia!
Occorre perciò stare molto attenti, quando si studia o si esamina o si critica qualsiasi cosa a non fare confusione tra ciò che appartiene a tanti anni fa e ciò che abbiamo oggi, anche se si tratta di cose apparentemente simili o uguali o comunque confrontabili, ma lo sono solo …apparentemente!
Può capitare che ad un risultato simile o addirittura uguale ci si arrivi per due strade completamente diverse e questo è uno dei grandi tranelli dai quali bisogna guardarsi, specialmente nel vasto campo dell'etimologia, insidioso ed ingannevole più di un campo minato! Ma è così in tutto, anche in politica: non si può giudicare alla stessa stregua, poniamo, un regime totalitario instaurato cent'anni fa dal popolo X ed uno instaurato oggi dal popolo Y: due motivi diversi, due mentalità diverse, due scopi diversi e sarebbe troppo facile, oltre che falso e superficiale, classificarli entrambi sotto la lettera "d" di dittatura! Ma torniamo al dialetto.
Questo confronto sc’fón-scoffoni è intrigante sia perché si tratta di termini ormai scomparsi da tutti i dizionari dialettali ed italiani (almeno da quelli che ho consultato io) e si ha perciò l'impressione di avere a che fare con rari ed affascinanti reperti archeologici, ma soprattutto perché il confronto mi dà la possibilità d'interrogarmi sull'antico dilemma linguistico e dialettale "se sia nato prima l'uovo o la gallina"!
Sarà sc’fón che è stato italianizzato in "scoffoni" o sarà il contrario? Non c'è nessuno che me lo possa dire, almeno io non ho possibilità di fare ricerche, ma sarebbe veramente interessante saperlo. Per conto mio, sono abbastanza convinto della prima ipotesi, poiché, come già ripetuto più volte, i dialetti si sono venuti a formare con la fusione del latino con dialetti preesistenti o susseguenti, PRIMA che la lingua italiana fosse "inventata". Molti secoli prima e perciò presumo che nel bolognese esistesse la parola sc’fón, prima di "scoffoni", di "calzerotti" di "calzini" e anche di calztén! Ma lo presumo soltanto e mi guardo bene dall'affermarlo, anche perché ogni ipotesi è plausibile: che "scoffoni" o qualcosa di simile sia un'antica parola italiana caduta in disuso, o una voce del basso latino, o parola toscana o francese o proveniente da qualsiasi lingua o dialetto, insomma, senza conferme, senza studi approfonditi in etimologia non si può dire assolutamente nulla, anche se a tutti piacerebbe avere la fortuna del macellaio Schliemann che scoprì Troia quasi per gioco o del biologo Fleming che scoprì la penicillina quasi per caso o di Colombo che scoprì l'America quasi per disgrazia!
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Paolo Canè

I Dinosauri

Una cosa, relativa al dialetto bolognese, di cui quasi nessuno parla è la "flemma" (la flèma), cioè quella caratteristica parlata, ormai quasi sparita, che avevano i vecchi bolognesi di città e che trovava riscontro anche e soprattutto nella parlata del Dottor Balanzone, maschera rappresentativa della città. Ho conosciuto nel corso della mia vita alcune persone che ancora parlavano in questo modo: un'amica di mia nonna (quella che ancora diceva "mé andó a chèsa", l'imbianchino Libero Masi, del quale ho scritto nei mie ricordi d’infanzia, ed anche il Commendator Edmondo Galletti, coetaneo di mia nonna Ada, il quale morì quasi centenario negli Stati Uniti, ma che fu prima nostro collega nell'industria dei giocattoli. Costoro avevano nella parlata tale caratteristica "flemma" la quale consisteva nel parlare molto lentamente, nel pronunciare le vocali molto aperte e nel quasi sillabare ogni parola, con un risultato simpatico e sereno, oltre che tipico dei veri petroniani di un tempo.

Dice Balanzone: "Ta-na-nàn Min-ghen-na, gnac-chere Ma-dóna flep-pa", una esclamazione senza senso che pronunciava appunto in questo modo, quasi staccato, con la sua beata flemma. Era un modo di parlare, ma forse indicava anche un prendere la vita con calma, bonarietà e filosofia. Un modo di parlare di cui prendiamo atto, ma che sarebbe fuori luogo voler riprodurre oggi, dove tutto è improntato a velocità, fretta, quasi un’ansia di consumare, per poi produrre, per consumare ancora. Un "dinosauro", qualcosa di estinto, come "dinosauri" sono moltissimi termini dei nostri nonni che possiamo trovare nei testi, in qualche antica commedia, ma che oggi suonerebbero come una fastidiosa ostentazione. Tipico esempio è quell'articolo di certa Liliana Nobili Sangiorgi apparso sul foglietto "Al pànt d'la Biànnda" di cui ho già parlato in altra sede. Cito a caso:

Pulismàn (vigile urbano) che moltissimi chiamano ormai véggil, brutto, se vogliamo, ma apparentemente inevitabile.
Sburdlèr (scherzare) che ormai tutti dicono "scarzèr".
Ruglàtt (gruppetto) che ha fatto posto a "grupàtt".
Sgugiól (gioco-scherzo) oggi "zuglén" o "schérz".
Tananài (baccano) oggi "casén" o "gatèra".
Siàn (fulmine) oggi "fólmin".
Busànch (geloni) oggi "zlón".
Cuérta zibè (coperta imbottita) oggi "cuérta imbuté".
Murèl (rosso scuro) oggi "ràss scùr".
Zighèla (toscanino) oggi "tuscanén".
Sbiàvda (pallida) oggi "smórta".
Béssa galèna (tartaruga) oggi "tartarùga".
Curén-na (supposta) oggi "supósta".
Sc’fón (calzini) oggi "calztén".

… e potrei continuare con centinaia, migliaia di esempi! Sono tutte parole o espressioni che gli appassionati debbono conoscere, ma che non si usano più o si usano molto raramente. Parole che appartengono al passato, che possiamo adoperare quasi come "licenze poetiche" se scriviamo "zirudelle", ma volerle usare, come nel caso citato, in un articolo di un giornale o, peggio, nei nostri discorsi di oggi, rappresentano un'inutile forzatura. "D'in su i veroni del paterno ostello" scriveva Leopardi magnificamente, ma credo che già allora usare "veroni" per "terrazze o balconi" e "ostello" per "casa o ospizio", fosse una forzatura, dunque perché voler usare parole antiche (o poetiche, come in questo caso), quando altre hanno ormai preso il loro posto? Le lingue e i dialetti (lo sanno anche i bambini) sono in continua evoluzione e noi possiamo sapere e studiare le parole antiche, ma dobbiamo usare quelle attuali, altrimenti faremmo una grande confusione tra passato e presente e non riusciremmo a dare un'esatta collocazione alle diverse cose.
La maggior parte degli attuali scriventi in dialetto, pur guardandosi bene dall'usare parole obsolescenti quando scrivono in lingua, fanno sfoggio di parole antiche, quasi volendole gabellare come attuali, quasi a voler insinuare: "Se non parli così, non parli vero bolognese"! Ciò non è vero e lo dimostra lo stesso Menarini che elenca tutte queste parole come antiche ma non le spaccia per parole ancora in uso. Io stesso, nel mio piccolo, raccolsi in "Voci caratteristiche bolognesi" circa 1.500 vocaboli, dei quali molti ormai in disuso, ma il mio scopo non era quello di "mostrare i muscoli" bensì quello di dimostrare (e neanche troppo segretamente) che, in aperta polemica coi toscani, il bolognese manteneva una più stretta relazione col latino: infatti, almeno per quel 20% di origini etimologiche che sono riuscito a trovare, dimostrai che tutto ciò che veniva definito "ostrogoto" dagli altri italiani, era in realtà latino! Lo studio del passato è una cosa, la pratica del presente è tutt'altra e sono due cose che occorre tenere separate, se si vuole essere seri. I dinosauri sono ormai estinti: se ne può parlare, li possiamo studiare, ma non dobbiamo dire che esistono ancora perché non è vero!
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Paolo Canè